domenica 13 maggio 2012
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Caro direttore,
la mia non è esattamente una lettera, ma un invito ad Avvenire a garantire un caloroso sostegno al povero premier Monti, il cireneo di turno, che non può permettersi – quasi – di respirare. Mi riferisco in particolare all’ultimo attacco portatogli vilmente da un piccolo gruppo di deputati del Pdl che hanno preteso­estorto una precisazione: di non essere stato, il loro, l’unico partito, ma 'uno dei partiti' che hanno determinato le condizioni di crisi nelle quali ci troviamo e le relative 'conseguenze umane'.
Paolo Rampazzo, Padova
Gentile direttore,
come cattolico e come lettore di Avvenire sono deluso dal vostro atteggiamento nei confronti di Napolitano e di Monti. Avete, assieme alla stampa 'laica', assemblato una formidabile macchina mediatica per l’abbattimento di Berlusconi, siete stati martellanti, non vi è sfuggita una 'iota'... Ora, mascherandovi con l’emergenza vi siete omologati al pensiero unico per cui Napolitano e Monti altro non possono fare se non porre rimedio ai danni dei governi precedenti; naturalmente tassando i soliti, naturalmente non toccando le banche (con Passera al governo...), naturalmente non toccando i costi della politica, naturalmente non toccando i privilegi di chi li ha messi lì (i partiti). I capponi non festeggiano Natale! Naturalmente per equiparare gli stipendi dei nostri parlamentari ai livelli europei hanno istituito una commissione che chissà quando terminerà il lavoro! Naturalmente per equiparare le pensioni ai livelli europei ci hanno messo un attimo! Monti sarà anche ottimamente preparato, presentabile, amabile, tutto quello che volete, ma il suo governo d’élite non farà che ampliare la forbice tra ricchi e poveri.
Roberto Rovero, Campertogno (Vc)
 
Mi colpisce lo spirito generoso che anima la sua incalzante... non-lettera, caro signor Rampazzo. Così come la preoccupazione che muove la reprimenda del gentile signor Rovero. Rispondo con una 'confessione' preceduta da un paio di premesse. La prima premessa è che non riesco proprio a considerare 'vile' un atto compiuto alla luce del sole da un gruppo di parlamentari. Posso ritenerlo sbagliato, e nel caso citato così anch’io lo giudico, ma è un altro conto. A mio parere, dovremmo cercare di recuperare un po’ tutti il senso delle proporzioni: in politica (a tutti i livelli), ma anche nel modo di etichettare legittimi atti politici. La seconda premessa riguarda la nostra presunta adesione a qualche 'pensiero unico'. Francamente credo che sia una tesi infondata, a ogni possibile proposito. Ma stiamo all’addebito specifico: troppa indulgenza verso l’attuale governo tecnico di «buona volontà». Ciclicamente ci accusano di criticarlo severamente, altre volte – appunto – di sostenerlo a spada tratta. Forse questo vuol semplicemente dire che (magari sbagliando, ci mancherebbe!) facciamo il nostro lavoro e valutiamo ogni situazione e i diversi atti e scelte con quella responsabile libertà che le gravi difficoltà dell’Italia e degli italiani impongono. Questo almeno è quanto ci proponiamo.
E veniamo alla 'confessione'. Forse sono diventato d’improvviso sordo o – come si dice – sto guardando un altro film, ma quello che ho ascoltato e capito delle dichiarazioni del presidente del Consiglio Mario Monti sulle responsabilità della crisi e delle sue 'conseguenze umane' è del tutto diverso da ciò di cui si è straparlato. L’espressione 'conseguenze umane', insomma, non mi ha affatto spinto a pensare immediatamente ed esclusivamente ai gesti estremi delle decine di persone (e ognuna è dolorosamente una di troppo) che si sono tolte la vita per vertiginosa disperazione, ma piuttosto alla sofferenza quotidiana di milioni di uomini e donne, qui da noi e altrove: di chi ha perso il lavoro, ha visto naufragare la propria impresa o attività, si è reso conto di non riuscire quasi più a dare il necessario alla propria famiglia... Ho pensato alle responsabilità di chi ha governato e traccheggiato in decisioni importanti e a quelle di chi ha grassato, speculato ed evaso i suoi doveri. Ho visto sfilarmi davanti le facce degli italiani senza lavoro e di quelli che hanno persino smesso di cercarlo, di tutti coloro che con dolente dignità chiedono, in vario modo e sempre più, aiuto alle strutture pubbliche di assistenza (in crisi anch’esse) e alla provvidenziale rete sussidiaria distesa dalle nostre comunità cristiane. Ho visto le facce dei giovani che non vedono più in Italia il loro futuro. Ho pensato agli ostacoli più diffusi e 'normali' che la gente 'normale' sta affrontando. Storie e problemi che Avvenire racconta, approfondisce e commenta spesso a partire da lettere-testimonianza di persone che ci leggono o che hanno capito che qui vengono certamente letti quando dicono cose serie e vere.Questo ho ascoltato e capito. E non era un discorso leggero o autoassolutorio. Ma siamo in un tempo in cui sembrano contare solo le polemiche smisurate, i profitti smisurati, le smisurate pretese e gli smisurati gesti. Più lo registro e più mi convinco che è soprattutto qui la radice del male che c’insidia e per il quale stiamo pagando – come comunità e come singole persone – un prezzo amaro e ingiusto.
Dobbiamo ritrovare misura e regole, dobbiamo fissarle. In tutto. Dobbiamo saper accompagnare (anche con le critiche, che come sempre articoliamo quando ci pare necessario, ma mai in modo furbo, apodittico e pregiudiziale) l’impegno di chi al governo e nella società lavora per ridare equità, misura e slancio al Paese.
Dobbiamo saperlo sostenere e incalzare, da cittadini consapevoli ed esigenti di solidarietà e di giustizia. Chi ha potere dia l’esempio, ognuno per la sua parte (partiti e governo, in questa fase non sono la stessa cosa…). Dobbiamo, ognuno per la propria parte, dare una mano. Ed è questo duro momento, il momento per farlo.
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