martedì 21 dicembre 2010
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«L’essere umano è uno solo e l’umanità è una sola. Ciò che in qualsiasi luogo viene fatto contro l’uomo alla fine ferisce tutti». Questa posizione possiamo chiamarla "verità"? Vale per tutti gli uomini? Possiamo ragionevolmente immaginare che un essere umano, anche semplice, possa riconoscerla, in tutta libertà, come verità degna di rispetto e di onore? Se potete rispondere affermativamente a tutte le domande, noi umani riprenderemo fiato e ci sentiremo meno minacciati. Perché avremo conferma del fatto che, indipendentemente dalla nostra posizione sociale, dalla nostra cultura e dalla nostra religione, dalle nostre preferenze musicali o alimentari, possiamo contare anche su di voi, per rendere il mondo il più umano possibile.Ed è solo l’inizio. Perché una simile testimonianza resa alla verità (e non all’opinione di parte), ci consente di osare un dialogo entusiasmante, e legami straordinari, fra noi umani: su tutto il pianeta. Si chiama coscienza morale. È straordinariamente ricca di sapienza, perché dispone di una vastissima complicità: sotto tutti i cieli e nei luoghi più distanti, milioni di esseri umani hanno facoltà di riconoscere la verità di ciò che tiene insieme la vita di tutti. L’universalità di questo riconoscimento è stata onorata e condivisa, fino a ieri, dalle parti migliori di ogni cultura e di ogni religione. Questa venerazione ha molto sostenuto la speranza dei popoli, nelle incertezze dei duri passaggi della storia, individuale e collettiva. E ha dato impulso operoso, pacifico, mentalmente creativo e affettivamente gratificante, alla convivenza delle società umane.Una parte dell’intellettualità occidentale, da una manciata di anni a questa parte, ha lanciato sul mercato l’idea che il senso morale non ha nulla a che fare con la verità. E nulla da dire – di vero – sull’umano che è comune. Opinione minoritaria, certamente. Ma ben sostenuta dalle potenze mondane di Mammona, che inducono nell’incertezza i popoli consumatori.Sarà un caso, ma il mondo, diventato povero di verità condivisa, si è ripopolato di opinioni insindacabili, aggressive, autocentrate. Da questo "politeismo", che chiude la partita con "Dio", doveva venire tolleranza delle differenze e pace per tutti. Ne scaturisce volontà di potenza, e l’apertura di microconflitti infiniti di identità, che ci avviliscono gli uni contro gli altri.La verità non difende una parte contro l’altra, come fa l’arbitrio dell’opinione, che deve imporsi per pura forza o sottrarsi per pura viltà. L’appello alla condivisione fa parte della natura della verità.Papa Benedetto XVI ha parlato ieri ai suoi collaboratori della Curia romana, incoraggiando la concentrazione del cristianesimo odierno intorno a questo motivo cruciale: riaffezionare gli uomini alla benedizione che viene dalla ricerca della «verità che salva». Ha ricordato egli stesso, francamente e per primo, la necessità di severa autocritica che l’etica della verità impone: agli ecclesiastici medesimi, in primo luogo. Ha indicato molti risvolti della drammatica urgenza di questa ripresa di fiducia nella verità. Le acrobazie della politica e le regole del mercato non possono nulla, altrimenti, nei confronti della sciagurata alleanza fra «avidità di lucro e accecamento ideologico».L’indifesa testimonianza cristiana – l’unica rimasta – di una verità universale di Dio, il cui banco di prova è la dedizione all’universale alleanza dell’umano, non per caso è oggetto di speciale accanimento. Una "fobìa" mirata. Non senza plateali convergenze: la viltà intellettuale, da una parte, il fanatismo politico dall’altra. Dogmatica la sua parte, per essere un’opinione.
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