martedì 18 agosto 2009
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Lo chiameremo l’angelo irregolare. Perché, è vero, gli angeli sono sempre un po’ irregolari e arrivano e portano annunci strani, inaspettati. Ma questa è la storia di un angelo irregolare nel senso burocratico, amministrativo della parola. È il protagonista di una storia strana. È uno dei due protagonisti: l’angelo irregolare e l’impiccato. È che il disperato avrebbe dovuto esser lui. Invece ha salvato la vita a un suicida.Sì, il più disperato tra i due – a rigor di logica – doveva essere proprio lui. Immigrato irregolare ancora oggi, dopo essere arrivato dal Marocco a 15 anni, non in regola dopo sette anni che vive in Italia guadagnandosi il pane onestamente, pagando l’affitto puntuale, e facendo anche volontariato. La "macchia" di un tentato furto di auto, peraltro fallito, gli sta bloccando la possibilità di una conferma del permesso di soggiorno. Insomma, il disperato avrebbe dovuto esser lui, Mohamed H, che vive a Milano, da dove manda soldi a casa sua a undici fratelli di cui uno disabile. E invece s’è trovato qualche giorno fa davanti agli occhi il corpo di un uomo, di un italiano, che penzolava impiccato ad un ponteggio a pochi metri da casa. Era notte. Lo ha tirato giù in tempo. Ora il signore italiano sta recuperando in ospedale, e se è vivo lo deve a questo angelo irregolare.Dalle mie parti non siamo gente che si commuove facilmente. Se il ragazzo ha tentato di rubare un’auto è giusto che paghi. Ma se da anni lavora in Italia in modo chiaro e pulito, se dà una mano ai francescani che lo accolsero, se si ferma di notte e tira giù dalla morte un povero Cristo di italiano disperato più di lui, beh, allora teniamocelo uno così. Non si può fare di ogni erba un fascio. L’angelo è irregolare perché non a posto coi documenti, perché ha fatto una stupidaggine grave. Però è anche un angelo perché ha salvato la vita a un uomo. E poi perché ci vuole qualcosa di buono dentro per starsene dai 15 ai 22 anni in un Paese non certo facile come l’Italia senza perdersi del tutto. Lo vediamo in tanti nostri ragazzi. Che magari non provano a rubare un’auto ma si buttano via male. Non si tratta di fare un santino di Mohamed. Di fronte a quell’impiccato in molti tra noi avremmo reagito come lui. È naturale. Non tutti, ma molti. E dunque non si tratta di valutare se vale di più una vita salvata o un’auto (non) rubata. Però si tratta di provare a guardare gli uomini – anche questi nuovi italiani – tenendo conto della vita intera. Si tratta di stabilire un modo in cui un uomo possa essere "regolare" senza dover essere per forza una specie di santo che non sbaglia mai. Senza dover essere regolarmente, continuamente, fortunatamente sempre un angelo. Ha fatto una cosa eccezionale, Mohamed. E una cosa normale. Ha salvato la vita di un regolare. La sua speranza di irregolare ha tirato giù dal cappio la disperazione del regolare. Insomma, la speranza si sta invertendo. Si sta dimostrando come sempre, una faccenda che non segue necessariamente le regole. Diciamolo: la speranza che è una cosa normale, che serve normalmente a vivere, a tirare avanti, a costruire ponteggi di vita invece che a impiccarcisi, si comunica molto spesso in modo insolito, eccezionale. C’è qualcosa di esemplare in questa faccenda. Qualcosa che va considerato perché sotto la rigidità delle norme non si perda un bene per tutti.Qualcuno, a Milano, speriamo si accorga della storia che raccontiamo. I magistrati faranno il loro mestiere. Noi facciamo il nostro. Che è quello di guardare la vita evitando di chiudersi nelle comode schematizzazioni. Perché se si rispettano le regole ma si perde la vita c’è qualcosa che non va.
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