domenica 27 febbraio 2011
COMMENTA E CONDIVIDI
Ad ascoltarlo, durante il suo intervento veronese al congresso del Forex, c’erano quasi esclusivamente banchieri, agenti di cambio, operatori di borsa e analisti finanziari. Tutta gente che, oltre a pranzare in allegra compagnia con mezzemaniche al sugo di rana saltatrice, tartufi di mare e seppioline all’aceto balsamico, era interessata soprattutto a capire cosa si intravede, per le loro rispettabili e delicate attività, dalla torre di avvistamento di Bankitalia. Eppure, Mario Draghi ha trovato ieri la maniera di inserire, nell’atteso speech ufficiale di fine inverno, alcune considerazioni per qualcuno forse sorprendenti, visti appunto il contesto e il parterre. Ha parlato dei giovani italiani, il governatore, ricordando che circa un terzo di loro è privo di impiego e che, quando lo trova, è costretto ad accettare salari di ingresso inferiori a quelli degli anni 80. Ha aggiunto che il nostro mercato del lavoro sembra fatto apposta per costringere le nuove generazioni a coniugare «il minimo della mobilità con il massimo della precarietà», con esiti di ulteriore avvilimento per chi lo subisce. Ha spiegato che la crescita economica interna rimane sempre stentata e tuttora a rischio di isterilirsi alla prima gelata proveniente dai mercati. Ma Draghi ha anche concluso con una nota di ottimismo che, conoscendo il personaggio, non si può proprio giudicare di maniera: il Paese, ha detto in sostanza, non ha esaurito le sue risorse e quindi neppure le sue chances. Abbiamo ancora la possibilità di far sprigionare dal nostro patrimonio di laboriosità e di coraggio la spinta a riprendere il sentiero dello sviluppo. A condizione di proseguire nel lavoro, per altro «già cominciato», di sgombero del terreno dai vincoli che lo avviluppano: leggi confuse e pesi burocratici spropositati, sistema scolastico non ancora abbastanza orientato a premiare merito e rigore formativo, fisco troppo esoso e piagato dall’evasione. Il tutto, in uno stretto ancoraggio a quell’Europa che abbiamo fortemente voluto e contribuito a costruire per oltre un terzo della nostra storia unitaria. Argomenti, toni e valutazioni complessive del numero uno di Via Nazionale richiamano necessariamente ai nostri orecchi quelli espressi appena un mese fa dal presidente della Cei, nel Consiglio episcopale permanente di inizio anno. Anche in quella occasione l’opinione pubblica era stata sollecitata dal cardinale Angelo Bagnasco a riflettere sul legame strettissimo fra questione giovanile e ripresa duratura (non solo economica) del Paese, tra il «debito di futuro» contratto dai padri italiani nei confronti dei loro figli e le residue – ma concrete ed effettive – possibilità di evitare quel «disastro antropologico» che rischia di scaturire dalla miscela di individualismo, scoramento collettivo e rifiuto del sacrificio. C’è dunque tra il governatore e il pastore, pur nell’ovvia diversità degli ambiti di competenza, una obiettiva ed evidente convergenza di analisi, di diagnosi e anche di indicazioni operative, che dovrebbe indurre i timonieri della “nave Italia” a qualche riflessione supplementare sul da farsi. Fermo restando il concorde riconoscimento di quanto si è finora messo in atto e della volontà di proseguire sulla strada intrapresa, non può essere accolta come manifestazione di incontentabilità – o peggio ancora come sintomo di malanimo – l’esortazione ad  accelerare i tempi e a intensificare le modalità di intervento. Nelle scorse settimane, del resto, anche dal vertice dell’esecutivo è venuta l’esplicita ammissione che il sistema produttivo ha bisogno di una nuova e salutare «frustata». E il titolare dell’Economia ha indicato il periodo di massima per passare all’azione: il prossimo aprile, quando anche l’Italia dovrà presentare all’Unione europea il suo piano nazionale di riassetto finanziario e di rilancio dello sviluppo interno. Sarà quello il momento di tenere accuratamente presenti le priorità – giovani, famiglie e imprese – sollecitate a fine gennaio da Bagnasco e ricordate ancora ieri da Draghi. Ad evitare nuove delusioni che davvero farebbero di aprile, come cantava Eliot, il più crudele dei mesi.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: