sabato 2 ottobre 2010
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Pima l’aggressione "al fumogeno" di Torino, ai danni del segretario nazionale Raffaele Bonanni: un episodio eclatante, che ha destato giusta sensazione, ma che in troppi hanno cercato di liquidare come una bravata di pochi "cani sciolti". L’altroieri l’assalto con petardi e uova marce alla sede Cisl di Treviglio, guidato in prima persona dal numero uno della Fiom bergamasca: vicenda che addirittura un segretario nazionale dei metalmeccanici Cgil ha sfacciatamente giustificato, ironizzando sulle «uova eversive» e condannando l’«incomprensibile drammatizzazione» che ne è seguita. Ieri infine una nuova manifestazione ostile, sempre ad opera di aderenti alla Fiom, ancora con lancio di sassi e uova contro la sede provinciale Cisl di Livorno.In queste ultime ore, la cronaca e la risonanza politica attirano non senza buone ragioni l’attenzione su altre manifestazioni di possibile violenza, come quella che ha lambito in forme inquietanti – e dunque da approfondire e contrastare senza indugio – il direttore di "Libero", Maurizio Belpietro. A lui va anche la nostra preoccupata solidarietà, e tuttavia oggi ci sembra più che mai necessario riflettere su quell’altro stillicidio di episodi, ormai pressoché quotidiani, che rischiano di passare incredibilmente in secondo piano ma la cui gravità non può più essere sottovalutata.Sembra quasi delinearsi all’orizzonte una grigia, pesante cortina di intolleranza, preludio di una possibile stagione di violenza diffusa che, un quarto di secolo dopo la fine degli "anni di piombo", rischia di calare nuovamente sulla società italiana. Un’atmosfera che cerca motivazioni e alimento nella situazione di incertezza e di precarietà in cui tuttora si dibatte l’economia nazionale. Un clima che sfrutta l’obiettiva asprezza del confronto sociale, investito dalle grandi questioni della ristrutturazione produttiva internazionale, con il carico di sacrifici e anche di dolori che questo processo comporta.In realtà da diversi mesi, ma soprattutto dopo l’esplodere del "caso Pomigliano", i vertici della confederazione sindacale di ispirazione cristiana denunciano il ricorso a intimidazioni e minacce ai danni di propri delegati e iscritti. Si registrano in continuazione aggressioni verbali e comportamenti violenti, con vere e proprie "gogne mediatiche" consistenti nel mettere i nomi di lavoratori e rappresentanti sindacali, presunti "complici" dell’asserita "svendita dei diritti", sui siti delle aree antagoniste Impressiona per altro constatare che, mentre le contestazioni "dure" si susseguono in ogni parte d’Italia, ieri a Roma, nella manifestazione per la vertenza Fincantieri, i metalmeccanici della Cgil marciavano tranquillamente accanto a quelli della Cisl, della Uil e dell’Ugl. Anzi, il loro leader Giorgio Cremaschi inneggiava ad alta voce al «grandissimo» successo conseguito. Ma appena 24 ore prima lo stesso leader aveva quasi intimato al vertice della confederazione di Corso d’Italia, guidata ancora per poco da Guglielmo Epifani, di «smetterla di parlare di dialogo» con i medesimi interlocutori (oltre che con Confindustria e governo), perché «ogni volta che lo fanno succede un guaio».Un tempo, quando imperavano le gabbie ideologiche di cui molti ancora faticano a liberarsi, si sarebbe parlato di "doppiezza togliattiana". Ma lasciando da parte le definizioni e andando alla sostanza, noi temiamo invece ben altro. Temiamo guai grossi, quelli che arrivano quando si lascia campo libero all’estremismo, quando si minimizzano, o peggio si giustificano, gli attacchi alle voci delle persone e alle sedi delle organizzazioni con le quali non si è d’accordo, quando si irride alle proteste di chi vede pericolosamente restringersi il proprio spazio di espressione democratica.Possiamo allora comprendere perché ieri la Cisl, nel prendere atto del giudizio totalmente negativo sui fatti di Livorno espresso dalla Cgil, abbia tuttavia invitato a darsi da fare concretamente, affinché i toni si abbassino davvero e il confronto libero riprenda senza condizionamenti, tanto più se violenti. Anche perché, almeno per ora, di condanne o anche solo di segnali di resipiscenza da parte della Fiom nazionale, non si è vista nemmeno l’ombra.
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