giovedì 19 agosto 2010
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Capisco bene la prudenza di quanti giudicano inopportuna l’edificazione di una moschea a Ground Zero, "benedetta" invece dal presidente degli Stati Uniti. La capisco e la rispetto. E non mi meraviglia il fatto che il 68% degli americani, secondo un sondaggio della Cnn, si dica contrario all’ipotesi. Una buona parte di costoro, è evidente, ha votato Barack Obama, ma in questo caso non se la sente di seguire il suo presidente.La questione è delicatissima e non si possono esprimere opinioni a cuor leggero. Chi lo fa, cercando facili scorciatoie, è preda di ideologie oppure non vuol misurarsi con la complessità della realtà.Già, perché qui c’è di mezzo una ferita – l’attentato dell’11 settembre – che gli Stati Uniti (e non solo loro) avvertono ancora come bruciante. C’è di mezzo il tema, non meno problematico, del rapporto tra la comunità islamica e la comunità nazionale, un rapporto che negli Usa – e più in generale in Occidente – rappresenta tuttora motivo di tensioni e, spesso, di incomprensioni.C’è di mezzo però anche la questione ineludibile della libertà religiosa. Il diritto di esercitare pubblicamente la propria fede e la possibilità, anche per quanti professano un credo diverso, di fare altrettanto, è oggi uno dei parametri grazie ai quali è concretamente misurabile il grado di "civiltà" di un Paese.Se questo è vero, negare una moschea a New York – dov’è presente una significativa comunità musulmana – sarebbe un atto per nulla democratico e liberale, indegno di quella tradizione di cui l’Occidente va giustamente orgoglioso. Quanto poi all’opportunità di edificare la moschea proprio laddove solo nove anni fa gli aerei dei dirottatori distrussero le Twin Towers, si può certamente discutere. L’ipotesi, è innegabile, ha un che di provocatorio. Ma – questo il mio sommesso parere – perché non ribaltare tale provocazione? Perché non immaginare che, proprio nel luogo-simbolo dell’islam violento, del terrorismo che si traveste da religione, possa sorgere un luogo di preghiera? Un luogo che ricordi – a musulmani e non musulmani – che per quanto Benladen si presenti come il fustigatore dell’Occidente corrotto, l’islam non è al-Qaeda? Se vogliamo rivendicare laicamente, da cittadini e da credenti, il principio della libertà religiosa, non c’è forse miglior occasione, per quanto rischiosa e paradossale, di questa.  Proprio per dare il segno di quanto è cara la libertà religiosa ai difensori autentici dei diritti umani, ritengo che valga la pena azzardare un gesto che, ne sono consapevole, rappresenta null’altro che una scommessa: la possibilità che fermenti, in seno alla galassia islamica, una coscienza nuova in ordine alla libertà religiosa e che tale coscienza gradualmente si diffonda, come per contagio, arrivando a toccare anche quei Paesi che oggi vietano alle minoranze non musulmane l’espressione pubblica della loro fede o le limitano in modo più o meno rigido.Ingenuo? Può essere. Eppure vale la pena rischiare. Non è stando fermi che si risolvono i problemi. Ma una moschea - si farà giustamente osservare - non è solo un luogo di culto, in quanto, nella mentalità e nella prassi musulmana, assume connotati anche "politici". Tutto vero. Va da sé, quindi, che occorrerà garantire a Ground Zero (così come dovrebbe accadere ovunque) l’effettiva separazione tra la preghiera sincera e l’incitamento all’insurrezione contro gli "infedeli". Anche da questo punto di vista, una siffatta moschea avrebbe qualcosa di paradigmatico.
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