martedì 6 luglio 2010
COMMENTA E CONDIVIDI
Una manovra di governo centrata prevalentemente su comparti non sociali della spesa pubblica e delle entrate, sembrerebbe toccare solo in maniera marginale salute ed assistenza. In realtà i due capitoli della sanità e degli enti locali sono destinati a provocare effetti, probabilmente non irrilevanti, nei servizi offerti dalle Asl e dai Comuni. Sulla base delle esperienze pregresse e dei dati degli ultimi anni sappiamo, d’altra parte, che esistono strategie compensative delle famiglie, che in caso di riduzione dell’offerta attuano criteri di selezione e di sostituzione, per esempio attraverso il rimando nel tempo di alcune prestazioni e lo spostamento dal privato al pubblico per altre. Infatti, ciò che preoccupa di più in tempo di crisi è proprio il rischio di non poter far fronte alle esigenze di cura personali o di un familiare. Se ieri il rapporto Istat sui consumi ha evidenziato come in questa fase le famiglie del Bel Paese abbiano risparmiato persino sull’acquisto di alimentari, è acclarato da tempo che nei difficili mesi che abbiamo attraversato quasi il 18% degli italiani ha dovuto rinunciare per motivi economici a una o più prestazioni sanitarie (visite specialistiche, cure odontoiatriche...), mentre quasi il 21% ha ridotto l’acquisto di farmaci pagati di tasca propria e quasi il 7% ha dovuto fare a meno della badante, per sé o per un familiare. Ma sappiamo anche che la situazione si presenta in maniera molto differente a seconda della Regione e del Comune di residenza. L’impatto dei tagli sarà, dunque, molto diverso da territorio a territorio. E ciò dovrebbe indurre ad accelerare i tempi del riequilibrio e del risanamento nelle aree di maggiore inefficienza, per evitare almeno in parte i rischi di un’ulteriore iniqua diseguaglianza sul delicato fronte della salute. Certo, al momento, i timori diffusi – tipici di una società preoccupata per il clima generale di ristagno – riguardano soprattutto i fattori economici della crisi (dalla disoccupazione al prodotto interno lordo) e certo gli effetti più evidenti e anche più dolorosi sono stati e sono a tutt’oggi prevalentemente di questo tipo, ma non bisognerebbe distogliere l’attenzione dalla considerazione dei fattori sociali, il cui risvolto rischia di essere altrettanto se non più grave.Se, come ha scritto Zygmunt Baumann, «la crisi che viviamo è l’interregno tra il vecchio che sta morendo e il nuovo che non è ancora nato», occorre soprattutto cogliere l’occasione per ripensare al modello di sviluppo e alle sue prospettive, in quanto molti dei problemi rimandano con evidenza allo sgretolamento dell’assetto generale di quella che abbiamo conosciuto come società del benessere. Mettendo a confronto gli indicatori di "benessere sociale" – del tipo di quelli proposti, a livello europeo, dalla Commissione Stiglitz – emerge che in tempo di crisi ciò che fa la differenza è la "politica sociale", nel senso della capacità di costruire soluzioni sia di tipo riparativo (pensiamo alla assistenza dei disabili e dei malati cronici, al risanamento delle aree deboli, al part-time, solo per citare i casi più emblematici) sia soprattutto di tipo promozionale (dalla riqualificazione e ricollocazione occupazionale agli ammortizzatori sociali).Calcoli elaborati in Francia evidenziano un rapporto diretto e positivo tra anni di vita guadagnati e crescita del Pil. E in ambito italiano, uno studio del Censis ha stimato l’apporto della automedicazione alla ricchezza nazionale attorno al 2,2% (grazie alla riduzione delle assenze dal lavoro). Più recentemente la ricerca Farmafactoring ha dimostrato che un aumento di un punto percentuale della spesa sanitaria in termini reali porta a una crescita di 0,26 punti di Pil ( valore peraltro in linea con quelli stimati in altri Paesi dell’area Ocse). Sono indicazioni che offrono motivi di riflessione e, forse, consigli per l’azione. Oltre a intervenire sui fattori economici di una crisi profonda come l’attuale, occorre dedicare maggiori sforzi agli interventi di cosiddetta politica pro-sociale e pro-attiva. Anche perché benessere sociale significa più "produttività".
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: