venerdì 4 marzo 2011
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Ha ragione il parroco di Brembate di Sopra, quando dice che la sua parrocchia è uscita da un incubo per entrare in un altro incubo. Per tre mesi la domanda era: "Dov’è Yara?", adesso la domanda è: "Dov’è il suo uccisore?". Alla ricerca dell’uccisore s’ispezionano i campi di Ghignola d’Isola, li vediamo in foto sui giornali e nei reportage in tv. Quello che appare è un paesaggio derelitto, senza posto per l’uomo, per il pensiero, il sentimento, la ragione. Così, è un paesaggio perfetto per un evento luttuoso come quello che s’è verificato.Quasi una "scena del crimine" prima che ci fosse il crimine. Campi incolti, radure stecchite, cespugli defoliati, aree ispezionate dai cacciatori che fanno il censimento delle lepri, e dove gli amanti dell’aeromodellismo lanciano i loro aeroplanini, che una volta erano in compensato, oggi sono in polistirolo. Vediamo sfilarci davanti questi paesaggi deserti, e la domanda che ci nasce dentro è: che ne è dell’uomo?È una periferia industriale, qui son disseminate le aziende della Bergamasca, non è molto diversa dalle altre periferie delle nostre città industriali. Sono aree invisibili, nessun occhio umano può indagarle, né di giorno né di notte. Ci sono aziende e capannoni, cioè depositi. Preziosi, perché contengono materiali e prodotti finiti. Quindi una tentazione per i ladri, che di notte potrebbero rubare venendo perfino con i camion. Succede, in giro per l’Italia. Ci vuole sorveglianza, qualcuno o qualcosa che veda e tenga nota. Il sorvegliante che non dorme mai e non si fa distrarre come l’uomo o il cane, è la telecamera. E ci sono, le telecamere, qui come in tutte le periferie italiane. Ma non tengono d’occhio il territorio, bensì l’azienda: l’occhio della telecamera arriva fino alle reti di recinzione. Se qualcuno, dentro le reti, ruba, 90 probabilità su 100 viene individuato e preso. Ma se qualcuno, al di là delle reti, commette un delitto, nessuno lo vede. È quel ch’è successo con Yara.In questa landa desolata, dove transitano i cani randagi, non si sente la voce umana. Qui forse non arriva neanche il suono delle campane. Arrivano però, a scuotere i timpani e i nervi degli uomini che vi s’avventurano, i ritmi squassanti di certa musica d’oggi: c’è una discoteca lì, una megadiscoteca, che un tg ha definito "capace di contenere mille clienti" (è mai possibile, mi chiedo?), questa discoteca funziona tre notti alla settimana, tra queste notti c’è il venerdì, e il giorno in cui fu rapita la povera Yara era un venerdì.Sto dicendo che quello era un habitat su misura per un delitto, e per habitat intendo l’aspetto visivo e l’aspetto sonoro. Abbiamo costruito periferie disumane. Vedendo in tv questa brandelli di landa spelacchiata, il mio pensiero va ai paesaggi descritti da Pasolini, dove poi Pasolini è morto, facendo della propria morte un capitolo dei suoi primi romanzi, "Ragazzi di vita", "Una vita violenta". Ma qui non siamo nei paraggi di Roma, qui siamo in Lombardia. E allora vengono in mente le descrizioni di Testori, dove il degrado è l’humus della violenza. È il nostro progresso che si vendica su di noi, è un progresso-boomerang, autopunitivo.Questo paesaggio senza campane, ma con i tamburi delle discoteche di notte e col silenzio faticoso dei capannoni di giorno, trasmette un messaggio all’uomo: "Lavora e stordisciti". Alienazione nel lavoro, alienazione nel divertimento. La breve vita di Yara è in contrasto con questo messaggio, Yara aveva un’idea di vita collegata all’armonia, facendo danza aveva scelto la danza ritmica, sognava di girare il mondo come campionessa. Aveva 13 anni. Con lei qui è stata distrutta l’idea di mondo che hanno le tredicenni.
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