venerdì 15 ottobre 2010
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Bisogna scegliere: stiamo qui, oggi, a contemplare il tesoro che ci è stato affidato girandocelo orgogliosamente tra le mani, oppure mettiamo in gioco energie e idee, facciamo circolare con saggezza e coraggio la formidabile eredità di bene ricevuta dalle generazioni di cattolici che si sono già spesi nella società e nella politica al servizio del Paese? Sapere di essere destinati da un disegno generoso, di essere impegnati a proporre nella storia della nostra comunità nazionale – in questo tratto di strada che ci pare così tortuoso e incerto – quei princìpi fondativi che, seppure insidiati, sono stati a lungo condivisi e che ora sono invece radicalmente attaccati in nome di nuovi “diritti” e “libertà” e “desideri”, mette sulle nostre spalle di cattolici del terzo millennio una responsabilità che può sembrare persino sproporzionata alle forze e alle certezze di cui ci sentiamo capaci. Può sgomentarci questo impegno in un’Italia dove ogni apertura dei cantieri del futuro corre il rischio di diventare pretesto per abbandonarsi a tentazioni di divisione.Sarebbe sterile crogiolarsi nell’idea che solo le convinzioni dei “padri” fossero proporzionate ai tempi, e non le nostre, quelle di una generazione chiamata (vogliamo tornare a parlare di “vocazione”?) a fare con decisione e lucidità la propria parte in un Paese impantanato nell’insicurezza e in bilico sulle sabbie mobili degli egoismi individuali e di gruppo. Questi cattolici siamo noi, chiamati in causa proprio da ciò che diciamo di essere. E ci siamo ritrovati a Reggio Calabria non per realizzare un inventario delle belle cose in cui crediamo, quasi che ci bastasse dar loro una periodica lucidatina per sentirle vivere. L’invito che, dopo il debutto di ieri sera, già esce dalla Settimana Sociale soprattutto grazie al messaggio di Benedetto XVI e alla prolusione del cardinale Bagnasco è di tornare a «sentirsi all’altezza della sfida», per citare l’incoraggiante lettera del Papa, già una pagina di compiti affidati al cattolicesimo italiano di oggi. C’è una «vocazione alta» che ci attende, quella di spenderci «con umiltà e determinazione» nella società e nella politica, «senza complessi di inferiorità», contando sulla forza sprigionata dalla familiarità autentica e quotidianamente coltivata con le «grandi verità intorno a Dio»: è questa la vera garanzia per poter contare su coscienze (poche storie: a cominciare dalla mia e dalla tua) «aliene dall’egoismo, dalla cupidigia dei beni e dalla bramosia della carriera», e invece «coerenti con la fede professata, conoscitrici delle dinamiche culturali e sociali di questo tempo e capaci di assumere responsabilità pubbliche con competenza professionale e spirito di servizio». Umanistici e digitali, consapevoli e accoglienti, solidali e missionari. Dentro questa buona terra potranno affondare radici sane quei “princìpi non negoziabili” – famiglia, vita, libertà educativa e religiosa – che sono la base essenziale di un progetto “politico”, ovvero calamitato dal “bene comune” come vantaggio di tutti, credibile e persuasivo perché ritagliato sulla persona umana.Basterebbe questo – ma è già tantissimo, il programma di una vita – per sapersi ogni giorno mandati ciascuno dentro il proprio spicchio di società e nell’agone dell’agire politico per ripulire il volto del Paese e garantirgli quel domani a misura d’uomo che le grettezze corporative e i ritardi riformatori, le tecnologie e la biomedicina, la globalizzazione e una cultura insidiata dal nichilismo cinico e vanesio fanno di tutto per allontanare. «Il punto – ha ricordato il cardinale Bagnasco – non è la voglia di rilevanza ma il desiderio di servire», muovendosi nel nome di una laicità che non volta le spalle alla religione, ma ne sa riconoscere lo smisurato valore sociale. I mattoni che escono da questa fornace, dalla fornace dei valori su cui non si fa mercato né mediazione,  «non sono divisivi ma unitivi, ed è precisamente questo il terreno dell’unità politica dei cattolici». Parole che bisognava sentirsi dire, in questo lembo d’Italia del Sud dove tutto sembra invocare una «nuova cultura della solidarietà tra società civile e Stato». Questa è la prova, questo è il cammino: serve affrontrarli. E nella bisaccia, se guardiamo bene c’è già tutto ciò che vale e che occorre.
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