mercoledì 5 settembre 2012
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L a notizia potrebbe sembrare clamorosa. La Francia, campione della laicité neutrale e distante da ogni religione, introdurrà nelle scuole pubbliche l’insegnamento di «etica laica». E lo farà, dice il ministro Vincent Peillon a "Le Journal du Dimanche", con obiettivi ambiziosi, contrastanti con i dogmi del relativismo.Per il ministro, lo Stato ha il dovere di formare buoni cittadini, perché i giovani imparino «cosa è giusto e cosa non è giusto», apprendano una morale «fondata su idee di umanità e di ragione». A scuola si deve acquisire la «capacità di ragionare, di criticare, di dubitare», perché «alcuni valori sono più importanti di altri: la conoscenza, l’abnegazione la solidarietà, piuttosto che i valori del denaro, della concorrenza e dell’egoismo». Precisa, il ministro, che non pensa alla tradizionale educazione civica ma a una morale impegnativa, che comporti non solo «una conoscenza delle regole della società, del diritto e del funzionamento della democrazia, ma anche di tutte le questioni che ci si pone sul senso dell’esistenza, sul rapporto con se stessi e con gli altri, su ciò che fa una vita felice o una vita buona. Se queste domande non sono poste, discusse e insegnate a scuola, lo saranno dai mercanti e dagli integralisti di ogni genere. Se la Repubblica non dice quali sono i vizi e le virtù, il bene e il male, il giusto e l’ingiusto, altri lo faranno al suo posto».È bene precisare che nelle scuole pubbliche francesi non è previsto l’insegnamento religioso, ed è vietato agli alunni portare simboli confessionali (se non di piccole dimensioni) per evitare ogni violazione della laicità. Oggi, questo Stato autosufficiente e sicuro di sé sente quasi il bisogno di darsi un anima, di cercare una base etica che guidi il cittadino al bene, a scegliere le virtù e rifiutare i vizi, costruirsi secondo il linguaggio di Aristotele una vita buona. C’è molto da riflettere su una novità tanto sorprendente, e la prima considerazione è che siamo di fronte al fallimento del relativismo dominante.Nella Francia razionalista, il governo che incarna la sinistra oggi al potere dichiara che senza etica non si formano i giovani, lo Stato non avrà un tessuto sociale solido e non si affrontano i grandi temi esistenziali e sociali: cioè il contrario di quanto affermano da anni i teorici del relativismo assoluto. Per Charles E. Larmore, per esempio, lo Stato neutrale «non dovrebbe cercare di promuovere alcuna concezione particolare della vita buona». Altri ritengono che «nell’etica non c’è verità», e occorre riconoscere la «radicale pluralità delle verità morali e metafisiche». Max Charlesworth risolve tutto affermando che l’accordo può trovarsi soltanto sul «fatto che la libertà individuale o l’autonomia costituiscono il valore supremo».Potremmo concludere che nella patria del razionalismo il pensiero relativista ha trovato una prima, tardiva eppure inattesa sconfitta. E certamente lo smarrimento è forte, un po’ dovunque oggi si avverte che il relativismo genera disincanto e solitudine, scetticismo ed egoismo. Però, oltre questo risultato, la riforma francese lascia molti dubbi. Nelle parole di Vincent Peillon tutto è ricondotto allo Stato, che insegna l’etica, ne elabora i contenuti, li impone agli studenti, quasi che, ha osservato un sociologo, si possa insegnare morale come si illustrano regole grammaticali o aritmetiche.Manca quell’atto di umiltà prioritario che lo Stato deve compiere nel riconoscere che non tutto è in suo potere, che la famiglia, la religione, costituiscono aggregazioni naturali capaci di elaborare e diffondere principi etici basilari per i singoli e la collettività. Infine, c’è un grande silenzio sui fondamenti dell’etica, sui principi d’ordine naturale che nel corso della storia filosofie e religioni hanno elaborato, che riguardano il rispetto della vita, la tutela della famiglia, la difesa dei più deboli. C’è allora il rischio che dalle nuove cattedre si propaghi una visione burocratica della cittadinanza (propria di una recente esperienza spagnola), dove si confondono i contenuti di leggi umane con i princìpi etici, dove ciò che ha deciso un legislatore diviene giusto per definizione: una sacralizzazione del contingente, il contrario di un discorso morale che richiede impegno, passione, afflato spirituale.Di qui, un punto fermo e tanti dubbi. Si diffonde la percezione che la cultura relativista conduca verso un deserto dell’anima. I dubbi derivano dalla tentazione dello Stato ideologico che vuole imporre le proprie scelte, enunciando alcuni valori ed escludendone altri, emarginando dalla scuola proprio quelle realtà, come la religione e la famiglia, da cui scaturiscono i princìpi morali che si incarnano nella realtà, e si fanno storia.
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