E così finì l'era dei «portasilenzi»
venerdì 7 luglio 2017

I vaticanisti sanno graffiare, ma non soltanto a essi era venuta in mente la definizione, un po’ ingenerosa, di «porta silenzi», per inquadrare l’impegno non facile dei primi direttori della Sala stampa, tutti ecclesiastici, e posti a capo di un organismo nato a sua volta a porte socchiuse (prima sede fu un minuscolo ufficio all’interno dell’'Osservatore Romano'). Le notizie si davano, ma in qualche modo un po’ anche si officiavano. Poi venne papa Wojtyla. E qualche anno dopo, nel settembre del 1984, Joaquín Navarro-Valls, medico, membro numerario della Prelatura dell’Opus Dei, corrispondente per l’Italia e il Medio Oriente del quotidiano spagnolo 'ABC': il portavoce. È così che sarà ricordato perché è questo il termine che esprime la svolta: dall’informazione sommessa e attutita alla sfida del confronto e della trasparenza che si è delineata con sempre maggiore convinzione e chiarezza negli ultimi anni, e alla quale Navarro ha dato un contributo di primissimo piano.

Quando fu chiamato in Vaticano, le novità non si fermarono alla nomina. Si trattava del primo laico alla guida del Sala stampa. Si capì subito di che stoffa era fatto, e qual era la personalità del medico-giornalista spagnolo che veniva a completare, peraltro, un quadro di significativo cambiamento. Quasi contemporaneamente Mario Agnes era stato chiamato alla guida dell’'Osservatore Romano', l’arcivescovo Foley era giunto da Filadelfia per guidare il Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali e da appena un anno era stato creato, in maniera quasi artigianale e avventurosa, il Centro televisivo vaticano. Il cambio di passo della Sala stampa fu immediato, e su due livelli essenziali.

In breve, prim’ancora che venisse sancito dalla Pastor Bonus, Navarro ottenne per la Sala stampa, un’autonomia non solo operativa ma sostanziale, dal momento che formalmente si trattava ancora di un ufficio dipendente dal Dicastero delle comunicazioni. L’altro piano riguardava la struttura. Uno dei segni aveva a che fare con la disposizione, quasi l’arredo, dell’ufficio, con il lungo salone riservato ai giornalisti e dove ogni giorno, intorno al tavolo della 'mazzetta' di consultazione dei giornali, avvenivano riunioni informali. Nessun vaticanista mancava a quell’appuntamento quotidiano. Navarro-Valls era il direttore attento di un’orchestra dai toni e dai suoni spesso molto diversi, ma fortemente consapevole di un ruolo che il pontificato di Giovanni Paolo II esaltava e rendeva allo stesso tempo più impegnativo. Che il Papa facesse 'notizia' era del tutto evidente. Ai vaticanisti spettava allora il compito della giusta interpretazione di eventi che solo di riflesso diventavano mediatici, e che andavano quindi illustrati con categorie nuove e inedite. In questo cammino Navarro-Valls, con una Sala stampa che si aggiornava ai tempi, vedeva profilarsi lo sviluppo delle nuove tecnologie, si rivelò un punto di riferimento non solo per i vaticanisti, ma anche per una serie di altri importanti comunicatori. Si faceva strada, in questo modo, una visione più internazionale dell’informazione vaticana.

Naturalmente, il compito diventava più esigente anche per lo stesso Navarro, chiamato a mettere alla prova la sua vasta esperienza giornalistica in un ambiente per lui nuovo e poco abituato a 'lasciar fare' ai laici. Ma i tempi erano cambiati anche in questo senso, tanto che a Navarro riuscì, come mai era avvenuto prima, a varcare ordinariamente la soglia dell’accesso diretto al Papa, rappresentata dall’«Appartamento», un luogo «istituzionalmente» fuori dagli schemi, ma, come si può capire, di importanza primaria e vitale. Contavano i rapporti personali e, oltre alla stima professionale, anche l’affetto. Di Navarro divennero 'notizia', lui sempre compassato seppure mai accigliato, le lacrime alla lettura dell’ultimo bollettino che annunciava la fine imminente del Papa. Portavoce, ma proprio in base a un tale rapporto, anche molto di più.

Navarro membro di importanti commissioni internazionali, o mediatore e battistrada della visita di Giovanni Paolo a Fidel Castro, non era una sorta di premio alla carriera, ma lo sviluppo di una pubblic diplomacy che si rendeva sempre più necessaria come risposta ai tempi nuovi di una comunicazione che metteva all’angolo i vecchi strumenti. Più agile di una formazione diplomatica, più aperta al mondo, maggiormente a contatto con le realtà e soprattutto con gli opinion maker, questa rappresentanza sui generis permise che anche all’interno del Vaticano l’immagine complessiva della Sala stampa subisse una sorta di trasformazione di genere. Era più che mai la Sala stampa di Navarro-Valls.

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