mercoledì 22 ottobre 2014
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Tre questioni importanti si contendono l’attenzione sul piano sociale oggi: lo scenario europeo e mondiale della crisi economica; le vicende dell’azione politica italiana, tra spinte di accelerazione e logica del «passo dopo passo»; i tentativi molteplici, da parte di autorità morali, sociali e religiose, di capire la natura delle sfide violente che ci troviamo di fronte e di illuminare la strada da percorrere. Se le tre questioni riusciranno a trovare un punto di convergenza per una soluzione equilibrata e soddisfacente è difficile dire. Quello che colpisce è che tutti gli osservatori – dei tre mondi e anche oltre – tendono a sostenere che questa crisi è diversa da tutte le altre. Ma diversa in che cosa? Molti analisti economico-finanziari insistono sulla diversità dal punto di vista dimensionale: l’intensità della crisi scoppiata nel 2008 sarebbe talmente forte da renderla incomparabilmente più grave e difficile delle tante altre che si sono succedute nel tempo. Ma rimanendo a questa diversità non si va molto lontano. Più plausibile e più importante è la posizione di chi (politici, autorità spirituali) sottolinea la diversità qualitativa delle difficoltà di oggi, che le fa derivare dalla incertezza della situazione socio-culturale e valoriale, una sorta di passaggio verso un ciclo sociale diverso, di cui non si conoscono però ancora i connotati. Partendo dall’Europa, il Vecchio Continente, che detiene il 7% della popolazione mondiale, il 25% del Prodotto mondiale ed il 50% delle spese di welfare mondiali, si presenta come un gigante demografico, economico e sociale bloccato, nei suoi equilibri e nella sua crescita, da divisioni vecchie e nuove e dalla difficoltà della individuazione di punti fermi di identificazione comune, in termini di cultura civica (la partecipazione istituzionale e la coerenza normativa), di spazi di integrazione (nel lavoro, nelle strutture formative, nelle città), e di cultura sociale (dei valori e dei comportamenti). Lo scenario europeo è pertanto ricchissimo di potenzialità – istruzione, mobilità, pluri-appartenenze, informazione –, che si tramutano però a oggi in una sorta di "vertigine ipnotica", e non in sviluppo, energia o consapevolezza.Se guardiamo all’Italia, il panorama è analogo: una grande ricchezza culturale e professionale, enormi potenzialità dal punto di vista della spinta creativa e di innovazione, e un peso politico ed economico nel quadro internazionale che resta di tutto rispetto; ma una debolezza evidente in termini di blocco amministrativo e burocratico, di invecchiamento demografico e istituzionale, di egoismi territoriali e sociali, di dualismi e diseguaglianze. Volendo contribuire alla rivitalizzazione dei processi di sviluppo e allo scioglimento del nodo di incertezza rispetto al cammino da percorrere, non vi è dubbio che, al di là degli aspetti economici e politico-finanziari, anzi prima di essi, occorra rivolgersi alle dimensioni culturale e sociale dello sviluppo, e in particolare a quella formidabile eredità storico-culturale, che costituisce il principale patrimonio del Vecchio Continente e, in special modo, del Bel Paese. È giusto, quindi, come sempre più spesso avviene, richiamare la necessità di fare della cultura il settore principale dell’azione europea e nazionale, e di prendere innanzitutto in considerazione le proposte migliorative da portare avanti nella formazione, nella ricerca e sviluppo, come nei servizi e nella stessa attività produttiva manifatturiera legata alla cultura. Ma questo non basta. La funzione sociale e pedagogica della cultura e delle attività a essa legate, non potrà esplicarsi come dovrebbe senza che avvenga uno scatto sul livello della responsabilità individuale e della propensione al cambiamento.Non è un caso che il concetto di coraggio ricorra sempre più frequentemente nei messaggi del Papa, come in quelli di altre importanti voci del panorama sociale. Nessuna riforma e nessuna ripresa – né etica né economica né sociale – saranno possibili se non avverrà un cambio di marcia rispetto alla responsabilità di ciascuna persona e di ciascun gruppo nei luoghi di vita e di lavoro. È necessario riconquistare la speranza e il coraggio per evitare di continuare a lasciarsi trascinare e sommergere nel pantano dei particolarismi e degli interessi che vanno contro il bene comune. I sentimenti di scetticismo e delusione rispetto ai tempi lenti del cambiamento e della ripresa dovrebbero lasciare il posto a un più forte convincimento del valore dell’etica individuale, della cooperazione per il bene comune, della trasparenza, del rispetto delle regole da parte di ciascuno, della legalità e della giustizia.
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