venerdì 10 ottobre 2014
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​«A volte ho più rispetto dei "casalesi" che dei "colletti bianchi"...». Chi parla in questo modo politicamente scorretto non è un aspirante camorrista, ma il presidente dell’autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone. Siamo all’incontro "Alle radici della corruzione", organizzato alla Luiss di Roma. Cantone aggiunge: «Perché gli uni li guardi negli occhi e sai che sono tuoi nemici, mentre non puoi dire lo stesso degli altri. Certa politica è purtroppo diventata uno strumento "servente" delle logiche di potere».È una verità che sta sotto gli occhi di tutti, ma non tutti, non sempre, non con la stessa libertà e con lo stesso coraggio sanno esprimerla. È proprio di questi giorni la notizia che lo spietato e sanguinario Giuseppe Setola ha chiesto di "collaborare" con la giustizia. Dice di temere per la sua famiglia. Ha paura che il clan dei Bidognetti gli ammazzi i suoi cari, così come tante volte, senza pietà, ha fatto lui con gli altri. Certo, verrebbe voglia di umiliarlo, mortificarlo, rinfacciargli tutto il male fatto, vederlo marcire in carcere per sempre. Verrebbe, cioè, voglia di una "vendetta" che, però, ci farebbe scendere gli stessi gradini che ha disceso lui. No, è una tentazione, e come tale deve essere ricacciata indietro. Giustizia sì; vendetta mai. Setola, camorrista dei "casalesi", è stato capace di terrorizzare il nostro territorio per anni. Contro questa maledetta associazione, disumana e sciocca, che va sotto il nome di camorra, ci siamo scagliati in tanti. Tutti coloro che, almeno, conservano in cuore un pizzico di dignità e di amore per i propri fratelli in umanità. Di camorra e mafia si è detto e scritto molto. Si sono cercate le cause nella storia recente e passata del nostro Meridione. La stessa Chiesa non è stata risparmiata da talune interpretazioni e spiegazioni. Il vero problema – e tante volte lo abbiamo sottolineato – è, però, da individuare nell’abbraccio mortale tra camorra e politica; camorra e imprenditoria. Cantone lo ha espresso in modo inequivocabile. Il camorrista da solo non può fare più di tanto. Può intimidire e colpire quanto vuole, ma per poco tempo. Il camorrista per comandare e far davvero paura ha bisogno dei "colletti bianchi" sporchi. Di quelle persone ambigue che trovi, camuffate, nei luoghi dove non dovrebbero mai entrare. Nei palazzi del potere, nei posti di comando, nei consigli di amministrazione. Uomini pericolosissimi e vigliacchi, che rischiano poco nascosti come sono. Fa bene, Cantone a parlare con la stessa parresia che papa Francesco ha chiesto ai padri sinodali. In questo modo, si schiera chiaramente dalla parte della verità; si unisce alla sua gente, a quella gente che sopporta da anni un carico di sofferenze, di umiliazioni, di povertà. Una cosa bisogna dire: fino a oggi i pentiti li abbiamo avuti solo tra i camorristi. Da loro siamo venuti a conoscenza di misfatti che potevamo solo immaginare. Certo, è difficile parlare di pentimento vero, cioè di cuori sinceramente addolorati, ma la loro "collaborazione" serve. Mancano all’appello, invece, proprio quei "colletti bianchi" sporchi cui cui fa riferimento Cantone. Loro, che sanno parlare tanto bene, parlano, purtroppo, tanto poco. Sono loro i più pericolosi. Noi aspettiamo anche il loro pentimento. Giuseppe Setola, il finto cieco, che ha reso insonne tante nostri notti, che ci ha fatto gridare verso il cielo: «Dio dove sei?» sta collaborando con la giustizia. Mettiamoci in testa che camorra, mafia, ’ndrangheta stanno cambiando vesti e maschere. Non indossano più coppola e giacchetta. Non imbracciano più la lupara. Oggi gli uomini di queste potentissime organizzazioni sono spesso eleganti e parlano bene; hanno lauree e agganci internazionali; occupano posti di potere e giocano in Borsa. Tiriamo un sospiro di sollievo per la decisione di Setola. Ma nessuno può accontentarsi se, come ha concluso Cantone, «oggi la corruzione è un meccanismo che crea potere, lasciando meno traccia della classica mazzetta». Vorremmo che le parole del presidente dell’Autorità nazionale non cadessero nell’oblio. Vorremmo che fossero riprese, discusse, commentate. Che "esplodessero" nel governo e in Parlamento e, fuori da ogni comodo luogo comune, anche nelle redazioni dei giornali.
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