Ricominciamo dal rispetto. L'augurio del Capo dello Stato
martedì 1 gennaio 2019

Con i toni sereni e pacati che gli sono propri, ma lanciando alcuni chiari segnali al Paese e a chi oggi lo governa, Sergio Mattarella ha rivolto lunedì sera agli italiani il settantesimo messaggio di Capodanno nella storia della Repubblica. Nel primo della serie, inaugurata alla fine del 1949 da Luigi Einaudi, si esortava a «mutua comprensione e fraterna solidarietà» un popolo che viveva ancora i riflessi dolorosi della tragedia bellica. E che era aspramente diviso da visioni ideologiche contrapposte, con rischi di guerra civile tutt’altro che trascurabili.

All’epoca nessuno, né a destra né a sinistra, giudicò quelle parole frutto della «retorica dei buoni sentimenti», mentre all’attuale Capo della Stato l’addebito non è stato risparmiato. Ma lui se lo aspettava, come ha avvertito espressamente, dopo aver chiuso la prima parte del suo discorso con l’invito a sentirsi fino in fondo una «comunità», capace di «condividere valori, prospettive, diritti e doveri». Una comunità, soprattutto, capace di rispettarsi al suo interno, disposta a rinunciare alla semina incessante dell’odio politico, del disprezzo sistematico, dell’insulto a buon mercato.

La parola chiave di questo messaggio è forse proprio «rispetto», merce sempre più rara in un contesto politico e comunicativo dove negare anche la minima considerazione all’avversario viene sbandierato come un vanto o una qualità. Lo ricordava ieri mattina anche papa Francesco, in sintonia significativa con Mattarella, con il quale ha scambiato a distanza gli auguri per l’anno nuovo: «Mostrarsi cattivi talvolta pare persino sintomo di fortezza, ma è solo debolezza».

C’è, dunque, anzitutto il rispetto per ogni vita e per ogni realtà territoriale, senza del quale è inutile parlare di sicurezza. Dove comandano le mafie, ad esempio, anche se gli immigrati non vengono più fatti approdare non si può certo parlare di sicurezza. Dove il degrado sociale non viene contrastato, la scuola registra abbandoni precoci e il lavoro è una chimera, è inutile chiudere i centri accoglienza nei paraggi per garantire la tranquillità della popolazione.

C’è poi il rispetto per le attese dei giovani, per la dignità degli anziani, per chi fa silenziosamente ogni giorno il proprio dovere. E in particolare, il rispetto per quella che il Presidente ha definito l’«Italia che ricuce»: ovvero quanti si spendono gratuitamente per i più sfortunati tra i nostri concittadini, spesso dimenticati dalle istituzioni. Qui il messaggio del Capo dello Stato sul Terzo Settore, minacciato da inasprimenti fiscali dalle conseguenze devastanti, non poteva essere più esplicito: niente «tasse sulla bontà», figlie di una logica punitiva e in ultima analisi autolesionista per le stesse finanze pubbliche.

C’è inoltre, e non è un elemento secondario, quello che potremmo definire il rispetto per noi stessi, per la capacità del Paese di farcela nonostante tutti i cultori dell’autodenigrazione nazionale, contando sui traguardi raggiunti finora (come il Servizio sanitario nazionale che ha appena compiuto 40 anni) e sulle risorse di cui ancora disponiamo, nonostante le difficoltà innegabili che solo «il lavoro tenace, coerente, lungimirante» può affrontare.

Ma è il fronte del rispetto per le istituzioni e per i suoi uomini quello che al Presidente premeva in particolar modo evidenziare, in un fine anno reso incandescente dal varo in extremis della manovra economica. Perché sarà vero che non è stato questo Governo a inaugurare la prassi di ridurre il Parlamento a mera sede di ratifica delle leggi, senza possibilità effettiva di discussione o di modifica, ma mai come questa volta si è assistito all’annullamento totale anche solo del tempo di lettura delle norme poste in votazione.

Il messaggio parla di «grande compressione dell’esame parlamentare» e di «mancanza di un opportuno confronto con i corpi sociali», con l’invito a fare da adesso in poi, in sede di attuazione e di verifica dei provvedimenti assunti, quello che non si è fatto prima. È implicito l’avvertimento che il Quirinale svolgerà il suo compito è di vigilanza senza altri sconti. Mentre è molto netta e chiara, in tempi in cui si parla di soldati da usare per tappare le buche stradali della Capitale, la richiesta di non “snaturare” i compiti delle Forze dell’ordine e delle Forze armate.

Nonostante tutto Mattarella, nell’anno cruciale delle elezioni europee, manifesta ancora fiducia nel Paese di cui incarna l’unità nazionale, gli esprime gratitudine e stima, forte delle tantissime esperienze di contatti ravvicinati con i mondi della solidarietà e del volontariato. Dopo questo messaggio, così ci sembra, l’Italia può ampiamente ricambiare.

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