Diritto di voto da e fino a quando: la via è includere, non escludere
sabato 19 ottobre 2019

Caro direttore,
il 'grande' Luigino Bruni, nell’editoriale che lei ha scelto per la prima pagina di venerdì 11 ottobre, ci ha proposto, credo di poter dire, una nuova provocazione. Il tema toccato è l’urgenza della questione ambientale, che, come è noto, ha portato negli ultimi mesi sulla scena pubblica del mondo occidentale il pensiero dei ragazzi e delle ragazze che ormai si riconoscono nei Fridays For Future, movimento che sta indubbiamente acuendo la sensibilità, in argomento, di tantissima gente (compreso il sottoscritto), sinora mediamente piuttosto distratta, al riguardo. Suscitando però altresì moti di fastidio se non di disprezzo da parte di taluni ambienti, diciamo, conservatori, che stanno attaccando anche pesantemente la giovanissima 'icona' di detto movimento. Bruni prende spunto da questo fenomeno per esprimere la convinzione che questi ragazzi vanno presi sul serio. Arrivando poi a dichiararsi a favore, citando, mi pare, proposte già sul campo, del diritto di voto «ai bambini e alle bambine, ai ragazzi e alle ragazze, ormai titolari di una soggettività politica». A questo punto, a me, favorevole in linea di principio a questa prospettiva, è però venuta la curiosità di capire meglio che cosa possa significare nel concreto, tutto ciò. Pensando all’Italia: far votare i bambini (da quale età?) e i ragazzi alle elezioni 'politiche' (e magari pure alle 'amministrative'), facendo loro scegliere il partito, il candidato, eccetera? Un voto, peraltro, si precisa ulteriormente, inevitabilmente espresso tramite la madre, o comunque i genitori, in alternanza. Io, ribadisco, comprendo la buona intenzione dei proponenti, ma, se non ho capito male la proposta, resto piuttosto perplesso. E non certo, ovviamente, perché sono tra i conservatori citati, che da sempre temono che l’allargamento della platea democratica vada in qualche misura a discapito dei propri... interessi.

Vincenzo Ortolina

Da quando ormai tre lustri fa le Acli (era il 2004 e alla presidenza di quella grande associazione c’era Gigi Bobba) lanciarono la proposta di riconoscere il diritto di voto ai sedicenni, il dibattito si accende, si spegne e si riaccende in modo ciclico. Sarei contento di vederlo arrivare a conclusione, per questo oltre a far sviluppare il consueto lavoro di cronaca e approfondimento sulla questione ho deciso di dare forte rilievo alla stimolante riflessione che il professor Bruni ha sviluppato da par suo. Personalmente, caro dottor Ortolina, posso dirle che sono certo di due cose. La prima è che la sfida a dare più voce ai giovani e di trovare un modo per 'far pesare' anche i giovanissimi è incalzante e va presa sul serio: stiamo 'usando' in questo presente anche il loro futuro e non possiamo non ascoltarli e far finta che le loro proteste, le loro domande e le loro richieste siano insensate. La seconda è che l’impegno per 'far pesare' i ragazzi e persino i bambini non è collegata in nessun modo – provocazione persino più forte di quella rilanciata da Bruni – all’introduzione di una sorta di 'morte civile' per gli anziani, attraverso la loro esclusione dal voto. Quest’idea, articolata da un filosofo belga, è stata richiamata ieri da Beppe Grillo in modo descrittivo, ma in fondo assertivo. L’inventore e padre nobile dei 5stelle, infatti, non poteva non sapere l’effetto che avrebbe fatto... Queste due certezze mi portano a una stessa conclusione: la nostra democrazia non va data per scontata, può essere perfezionata e non deve essere manomessa. Insomma, almeno per me, il motto è 'indietro non si torna'. Anch’io, poi, come Bruni, resto persuaso che la strada maestra è quella dell’inclusione e mai quella dell’esclusione. A partire da qui, discutiamo e scegliamo.

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