Tutto come si deve in un treno d'Italia. (Spegnere l'amplificatore del peggio)
sabato 3 agosto 2019

Caro direttore,
le racconto un fatto avvenuto qualche giorno fa. Siamo sul treno regionale da Padova a Castelfranco Veneto e poco prima della partenza salgono tre ragazzi adolescenti che si rinchiudono in bagno. Il treno parte e una ragazza, salita trafelata all’ultimo minuto, decide di andare in bagno forse per rinfrescarsi un po’. Dopo aver bussato diverse volte e avendo ottenuto il diniego di entrare dai tre occupanti, la passeggera, spazientita, si rivolge al capotreno esponendogli la situazione. Lui la invita gentilmente ad utilizzare l’altra toilette del convoglio e poi riesce a farsi aprire la porta di quella occupata. A questo punto il controllore chiede ai tre ragazzi di esibire il biglietto, facendo contestualmente presente che i servizi del treno devono restare a disposizione di tutti i viaggiatori. I ragazzi rispondono che sono privi di biglietto e allora il capotreno pone loro due possibilità: fare subito il biglietto con piccola sanzione aggiuntiva di 5 € a testa, oppure scendere alla stazione immediatamente successiva. I tre optano per la prima soluzione e, durante il controllo del loro documento di identità, veniamo a sapere che sono “italiani doc” diciassettenni. Eseguite queste operazioni, allontanatosi il controllore, alcuni minuti dopo prima di scendere dal treno uno dei tre adolescenti grida ai passeggeri: «La prossima volta fatevi i c... cavoli vostri!». Vorrei spendere qualche parola su questa vicenda. Ho apprezzato l’asciutta fermezza professionale del capotreno perché, di fronte ad una situazione problematica, ha agito con “buon senso”. Poche parole essenziali per far rispettare una regola semplice (in treno si viaggia col biglietto e il bagno serve a tutti), l’adozione di soluzioni pragmatiche (o biglietto o discesa) che mantengano il rispetto tra le persone e non indugino su altri aspetti marginali (ad esempio i dati fisici ed anagrafici degli interessati). Possiamo dire che questa essenzialità di parole e azioni sia esercitata anche da chi ha la responsabilità politica di “far rispettare le regole” nel nostro Paese? In merito invece all’affermazione di “fatevi i cavoli vostri!”, penso sia un’esortazione da ribaltare positivamente. Non è forse farsi i “cavoli propri” che tutti i passeggeri di un treno abbiano il biglietto, che le grandi piattaforme web paghino le tasse dovute al nostro fisco, che i cittadini siano tutti uguali davanti alle nostre leggi, che malagestione e clientele nella nostra pubblica amministrazione non siano tollerate, che i governanti rispondano alle regole di bene comune indicate dalla nostra Costituzione?
Il vero “cambiamento” della realtà non sarebbe più efficace con la forza dei fatti, anziché con continue campagne mediatiche di marketing elettorale?
Stefano Miotti, San Giorgio in Bosco (Pd)

Davvero grazie, caro signor Miotti. Il suo racconto è vivido ed efficace, le sue conclusioni giuste e condivisibili. In Italia abbiamo proprio bisogno di riportare in primo piano la solidità e la pacatezza di ragionamenti come i suoi e il senso diretto e profondo della vera e buona legalità che lei propone a partire da una storia trasformata in piccola parabola. Lo sa già, perché l’ho e l’abbiamo scritto molte volte su queste pagine, ma glielo confermo: aspetto anch’io, con ansia crescente e un’amarezza mai prima così grande, di sentire e vedere nuovamente qualcosa di analogo a quello che il “suo” buon ferroviere ha detto e fatto anche in chi ha oggi il compito politico di rappresentarci e governarci. Grazie a Dio, e ai “grandi elettori” che lo hanno votato quattro anni e mezzo fa, abbiamo un presidente della Repubblica come Sergio Mattarella che onora questo dovere al massimo livello. E anche i presidenti dei due rami del Parlamento interpretano con rispetto per le istituzioni e per i cittadini i rispettivi ruoli, non evitando tutte le polemiche, ma tenendo certamente alta l’asticella. Purtroppo il resto del panorama è desolante. Quasi solo il premier Conte dà prova di misura nel suo lavoro di coordinamento di un Governo sempre più rissoso e nel quale si sta accentuando l’aggressività verbale verso i grandi e storici alleati e partner nell’Unione Europea (si pensi ai toni usati dal vicepremier Salvini contro la Germania). Purtroppo nulla ci è risparmiato: né il turpiloquio, né il dileggio di avversari e semplici cittadini, né lo spaccio di notizie false, né la pretesa di non dover rendere conto del proprio operato quasi che il cospicuo consenso degli elettori offrisse basi alla pretesa di stare al di sopra della legge e di ignorare e disprezzare il bisogno e il diritto d’altri. Ecco perché bisogna decidersi a spegnere l’amplificatore del peggio, non continuare ad aumentarne la frequenza e il volume... Ed è compito di chi lo maneggia in modo spregiudicato, ma anche di chi sta ad ascoltare e si adegua. Di chi accentua o accetta, in un Paese di grande umanità e civiltà come il nostro, il gonfiarsi dell’onda limacciosa di una xenobia che inclina al razzismo e che esplode nella vita delle persone, come testimonia l’editoriale di Matteo Fraschini Koffi che ho deciso di proporre alla riflessione di tutti sulla nostra prima pagina di questa prima domenica dell’agosto 2019.
Certo, non c’è solo questo male e questo peggio nell’azione politica di tanti, di troppi, ma – ahinoi – c’è anche questo. E c’è tanto, c’è troppo. Sì caro amico, sogno anch’io politici responsabili e di poche parole. Capaci di dire cose serie e precise, decisi a compiere atti che sanciscano i diritti e i doveri di tutti e di ciascuno senza speculazioni e forzature, cioè, come lei scrive, anche «senza indugiare su altri aspetti», sensibili eppure marginali in relazione ai fatti stessi: l’origine geografica o etnica dei protagonisti, il colore della pelle, la condizione fisica o anagrafica, lo status... Credo che sia possibile, come la sua piccola storia d’estate in treno racconta. E concordo sul fatto che la strada maestra è “partecipare” (lasciamo i cavoli nell’orto o nel piatto…) e farci carico insieme, ognuno per la propria parte, della buona conduzione del Paese e dei servizi alle persone e alla collettività che l’amministrazione pubblica deve garantire. Un vagone ferroviario, una piazza o una strada di città, una scuola, uno stadio, un porto, una sede associativa, il luogo di lavoro… ogni posto è il posto giusto per dire e fare la cosa giusta e, ogni volta che è necessario, per chiedere che la cosa giusta venga detta e fatta. Altrimenti meglio ricordarsi che esiste anche un “bel tacere”, e non procurar danni al buon nome della politica e all’interesse generale.


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