Davanti alla tragedia e alla speranza della Settimana Santa
domenica 25 marzo 2018

Prima osannato, poi tradito, condannato, crocifisso. Il dramma di Gesù è davanti a me, è una domanda per capire chi sono, come mi sarei comportato se fossi stato presente. Quella settimana di passione dovrebbe entrarmi nel cuore, nella mente, nelle ossa. Istintivamente dico che sarei rimasto attaccato a Gesù, mi sarei compromesso per lui e avrei fatto di tutto per difenderlo, sapendo di essere additato come l’amico del Cristo. Eppure, avrei avuto davvero il coraggio di essere condannato anche io?

Avrei accettato di essere bollato come il discepolo di un «infame»? Avrei dato tutto per condividere il dramma di un Dio innocente che muore da innocente? Queste domande scavano dentro. La risposta è nell'oggi che vivo perché la Settimana Santa porta frutto solo se mi faccio carico di una testimonianza. Posso dirmi amico di Gesù solo se ho il coraggio di essere in prima linea nel combattere ogni ingiustizia, ogni morte innocente. Se so farmi interpellare dal dolore che incontro, se so mettermi davvero nei panni dell’altro. Solo così ha senso la commozione che provo ripercorrendo i momenti della passione e morte di Gesù.

Vedo un amore immenso e vero di un Dio picchiato e umiliato nella sua umanità. Vedo anche una folla che la domenica delle Palme lo accoglie come il Salvatore per condannarlo poi a morte certa dopo pochi giorni. Quella folla siamo anche noi. Vorrei che oggi tutti i credenti facessero diventare con le loro vite la Chiesa primavera dell’umanità. Oggi non è così. Mi chiedo: dove siamo noi cristiani, amici di Gesù? Forse siamo diventati comparse? La tragedia e la speranza della Settimana Santa ci entri nel cuore e ci faccia cambiare.

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