Diario dalla trincea della «fragilità». Stare a fianco stavolta è fermarsi
mercoledì 11 marzo 2020

Caro direttore, caro Marco,

qualche giorno mi hanno telefonato a casa dal Centro dove sono in cura, per avvisarmi che, vista l’emergenza causata dal coronavirus, la visita trimestrale di controllo, in programma il 9 marzo, era annullata. Ci rivedremo a giugno, a meno di emergenze improvvise, e a meno anche di ulteriori strette nelle direttive dettate dal governo, o dal buon senso. La mia situazione è, tutto sommato, al momento abbastanza stabile, e il rinvio in sé non mi ha preoccupato più di tanto. Certo che avere la Sla al tempo del coronavirus non è esattamente il massimo per stare sereni. Io in linea di massima non sono uno che si preoccupa, lo sai. Ai tempi di aviaria e Sars continuavo a viaggiare per il mondo (per lavoro) rispettando le norme di salvaguardia, ovviamente, ma senza incubi né paranoie. Questa volta, però, la cosa è un po’ diversa, e non credo sia una mia fissazione. Intanto per le ragioni che tutti – immagino – ormai sanno, e cioè che il virus è altamente contagioso eccetera eccetera, ma soprattutto perché io sono uno di quei soggetti “fragili” a causa della mia patologia, e dunque maggiormente esposti. Nel senso che, con la Sla, beccarsi una polmonite virale è molto più che pericoloso. Prendersi una polmonite, per me, vorrebbe dire dover correre (si fa per dire) in gran fretta in ospedale per essere ricoverato in terapia intensiva, sperando di riuscire a venirne fuori indenne, cosa non facile né scontata, che già non è una bella prospettiva. Se questo non bastasse, però, c’è la non remotissima possibilità che, nel caso che i piani di contenimento del contagio non funzionino, a un certo punto le terapie intensive si intasino, al punto da costringere i medici rianimatori a dover scegliere a chi dare la precedenza. E la loro associazione di categoria ha già detto, nero su bianco, che dovrà essere privilegiato chi ha più speranza di vita. Il che chiaramente mi escluderebbe. Un criterio che capisco, e che capisco pure molto bene, e in qualche modo accetto. Da qui a dire che la cosa mi renda tranquillo ce ne corre. D’accordo, non faccio una vita sociale sfrenata, e anche mia moglie e la figlia che vive ancora con noi, hanno ridotto all’osso le uscite di casa; ma già la girandola quotidiana di quanti mi danno assistenza potrebbe, in teoria, creare qualche problema. E di sicuro non ne posso fare a meno. L’unica cosa è sperare che non succeda niente. E, nel frattempo, non pensarci. O pensarci il meno possibile. E augurarmi per il resto che ciascuno dei miei concittadini faccia, come deve, la sua parte.

LA RUBRICA DI SALVATORE MAZZA SU AVVENIRE

Salvatore Mazza

Hai detto tutto tu, caro Salvatore, da gran giornalista quale sei. Mi limito a sottolineare una tua “immaginazione”, quando scrivi delle «ragioni che ormai tutti sanno» per cui bisognerebbe accettare disposizioni e inviti delle autorità governative e sanitarie a “stare a casa” il più possibile e dunque a limitare al massimo i movimenti e ad allargare ragionevolmente le distanze con altre persone. Per tanti di noi stare a fianco stavolta significa anche allontanarsi un po’ e rallentare, sino a fermarsi. Non è semplice, ma è giusto. E sprona ad altre forme d’azione per non isolarsi e non isolare nessuno.Vorrei anch’io che fosse come tu dici, che cioè tutti avessero chiaro che di fronte al Covid–19 – male che non siamo ancora in grado di fronteggiare al meglio – far finta di niente significherebbe mettere più a rischio gli anziani e i “fragili”. E, aggiungo, costringere a un ulteriore superlavoro tutto il personale sanitario impegnato strenuamente e sin sopra le forze per limitare i danni dell’epidemia. Grazie a loro. E grazie, caro Salvatore, a te.

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