Dialogo con l'Europa ma facendo i conti con la realtà
giovedì 31 maggio 2018

Con il collega ed amico Giovanni Tria al Ministero del Tesoro (oggi detto "dell’Economia e delle Finanze") il nascente Governo M5s-Lega dà un segnale innovatore, ma "ortodosso" ed europeista. Quel segnale che il presidente Mattarella ha chiesto nel momento in cui con pacato e fermo coraggio ha detto no alla nomina di un altro professore, Paolo Savona, per lo stesso dicastero.

Per usare una metafora, è come se nel primo tempo della crisi Luigi Di Maio e Matteo Salvini avessero proposto al paziente Italia un’operazione di appendicite mentre in realtà il sospetto dei più esperti tra gli addetti ai lavori era che dietro copertura si trattasse invece di una pericolosissima e perniciosa operazione a cuore aperto, visto e considerato il progetto segreto (ma non troppo) di "uscita dall’euro" targato Salvini-Savona. Non sapremo mai se il governo giallo-verde volesse usare l’anziano e brillante professore per porre veramente in atto un’idea così scellerata oppure intendesse strategicamente usare questo deterrente per ottenere "concessioni" al tavolo europeo. I sospetti e i timori giustificavano in pieno uno stop, perché veniva assolutamente meno il principio del "consenso informato" del paziente Italia.

Nei prossimi giorni torneremo su questo punto con una raccolta ragionata di tutti i motivi per i quali "Italexit", invece di essere la salvezza che alcuni credono, avrebbe prodotto gravissimi danni al Paese.
La speranza è che con Giovanni Tria che solo qualche giorno fa ha invitato il governatore Visco a celebrare il trentennale della nascita di Tor Vergata, la seconda Università statale di Roma, la politica economica del futuro governo M5s-Lega si sviluppi su vie innovatrici, ma sagge e ragionevoli. Dietro ai sussulti e alle convulsioni di questa lunga crisi c’è un problema più profondo, sollevato nei dibattiti di questi giorni, non risolvibile con la mera razionalità economica. C’è la rabbia e ci sono le aspettative gonfiate e irrazionali di una parte rilevante di cittadini, c’è il rifiuto a priori del valore delle competenze, viste con sospetto perché appartenenti a quelle élites che tramerebbero contro il popolo (in questo i no euro e i no vax hanno non pochi elementi in comune). E c’è un atteggiamento che supera la razionalità fino a diventare soddisfazione identitaria e persino irredentismo che preferisce quasi immolarsi nella "lotta all’oppressore" piuttosto che mantenere lo status quo. Sono narrative ed illusioni pericolose da cui dobbiamo uscire presto, anzi subito, per evitare danni peggiori.

Quello che ci aspetta adesso, se questo governo e questa compagine dei ministri andrà avanti come pare, è un serio confronto con la realtà. Che non esclude affatto un atteggiamento costruttivo e battagliero in sede europea per sollecitare quelle trasformazioni e quelle riforme che da tanto tempo auspichiamo anche su queste pagine. Dei punti dell’appello dei 360 economisti per la riforma dell’eurozona che lanciammo dalle colonne di "Avvenire" quattro anni fa solo il quantitative easing è stato realizzato, grazie alla Bce guidata da Mario Draghi. Quel quantitative easing che è stato decisivo per tenere assieme l’Eurozona e di cui ora si annuncia la graduale conclusione.

Spiegare i limiti e gli errori dei no euro non basta a scaldare i cuori. C’è bisogno di un Unione Europea diversa che faccia proprie le tante soluzioni tecniche già pronte che segnerebbero un passo avanti in materia di mutualizzazione, solidarietà e sviluppo di quelle sinergie tra Paesi membri che consentirebbero di realizzare almeno in parte l’enorme potenziale dell’integrazione. E questo l’augurio che dobbiamo fare al nuovo governo, perché anche quando l’allenatore non fosse il preferito, e la squadra risulti assemblata per forza e non per amore, non possiamo non tifare per il nostro Paese.

*Ordinario di Economia politica all’Università di Roma Tor Vergata

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI