Denatalità: cinque anni senza aborti, ecco la mia (laica) provocazione
mercoledì 26 maggio 2021

Caro direttore,

una decina di giorni fa si è tenuta la prima edizione degli Stati Generali della Natalità. E che non fosse un evento qualunque lo dicevano i partecipanti: non solo manager di grandi imprese, giornalisti ed esperti ma due “pezzi da novanta” come papa Francesco e Mario Draghi. E se certamente un plauso va al promotore dell’evento – Gigi De Palo, presidente Nazionale del Forum delle associazioni familiari – credo che la forza dirompente del tema abbia fatto la parte da leone e che rappresenti già un messaggio inequivocabile.

Da anni si parla di «inverno demografico » e anche noi abbiamo dedicato al tema una ricerca condotta da Alessandra Ghisleri. “Culle vuote: una guerra persa?” s’intitolava e confermava che per l’82,2% degli italiani le trasformazioni demografiche avranno un’incidenza sul futuro del Paese. Poi è arrivata la pandemia e il nuovo record negativo di nascite – 404mila bambini nel 2020, il 30% in meno di 10 anni fa – combinato con l’elevato numero di decessi hanno aggravato una dinamica che ci pone al fondo di tutte le classifiche europee. Oggi metà degli italiani ha almeno 47 anni: l’età mediana più alta d’Europa.

«Un’Italia senza figli è un’Italia che non ha posto per il futuro, è un Italia che lentamente finisce di esistere», sono state le parole del premier Draghi. E questo credo sia il punto. La natalità è la nuova questione sociale universale e riguarda tutti, anche chi i figli – liberamente – non li ha voluti. Perché riguarda il futuro. Se non riusciremo a rendere più sostenibile l’equilibrio intergenerazionale cosa accadrà tra una decina d’anni? Banalmente, chi pagherà le pensioni? Chi sosterrà la produttività e il Pil? Chi creerà innovazione? Chi costruirà un’economia green e sostenibile? Potremo ancora permetterci una rete di servizi sociali e la sanità sarà ancora gratuita se crolla il numero dei lavoratori? Potrei andare avanti a lungo, ma non serve. Serve piuttosto comprendere tutti che il tema della natalità è «urgente » e «basilare» per «invertire la tendenza e rimettere in moto l’Italia a partire dalla vita» come ha detto papa Francesco. «Penso con tristezza alle donne che sul lavoro vengono scoraggiate ad avere figli o devono nascondere la pancia. Com’è possibile – ha scandito il Pontefice – che una donna debba provare vergogna per il dono più bello che la vita può offrire? Non la donna, ma la società deve vergognarsi, perché una società che non accoglie la vita smette di vivere. I figli sono la speranza che fa rinascere un popolo!».

Il Governo – con il presidente Draghi e la ministra Bonetti – si sta impegnando per tentare di arginare un declino di cui finora ci siamo limitati a parlare. L’assegno unico universale «è una di quelle trasformazioni epocali su cui non ci si ripensa l’anno dopo» ha detto Draghi. E nel Pnrr ci sono risorse mai stanziate prima – oltre 20 miliardi – per la realizzazione di asili nido, scuole per l’infanzia aperte tutto l’anno, estensione del tempo pieno, potenziamento delle infrastrutture scolastiche, politiche attive del lavoro. È un cambio di passo importante che potrebbe (finalmente) allinearci con il resto dell’Europa in tema di occupazione femminile e spesa sociale, per l’infanzia e la famiglia. Tuttavia, se pure esiste una relazione diretta tra numero di nascite e crescita economica, è vero che anche in società che crescono più della nostra, la natalità è in calo. Questo indica come il problema sia più profondo e abbia a che fare con la mancanza di sicurezza e stabilità. Con un deficit di speranza. Non credo sia un caso che dopo tanti anni si ricominci a parlare di aborto e crescano gli Stati che stringono le maglie: la cattolica Polonia ma ora anche la patria del liberalismo, l’America. Perché quando è la sfiducia, il pessimismo e non una libera scelta di vita a decidere per una coppia, allora lo Stato può e deve intervenire.

Si potrebbe pensare a “sospendere” la legge 194, vietando l’aborto per cinque anni – tranne gravi casi di malformazione del feto o di violenza nei confronti della futura madre – e dare, invece, alle coppie che pensano di ricorrervi non una “mancia” ma un lavoro e una casa? È certamente una provocazione. Ma forse può servire a farci riflettere su dove stiamo andando e su quale direzione vogliamo prendere. Perché i figli non devono essere né un dovere né un lusso, ma una vera libertà. E la libertà vince sempre.

Lella Golfo, Presidente Fondazione Marisa Bellisario


Accolgo ben volentieri la sua riflessione e la sua laica provocazione, cara presidente Golfo. Il tema del pieno rispetto e della piena accoglienza della vita umana e della rimozione della cause dell’aborto è cruciale da molti punti di vista, anche da quello della denatalità che stiamo sperimentando. Lei lo affronta con l’onestà e la libertà intellettuale che tutti le riconoscono, formulando in forma interrogativa una proposta che per diversi motivi (e per una parola o per l’altra) farà sobbalzare più d’uno. Ma francamente mi piace che lei, cara amica, sorprenda anche me, ragionando fuori dagli schemi consueti e lontano dagli slogan che hanno imprigionato riflessione e dibattito sulla vita e sulla morte. Quell’insieme di false sicurezze e di anatemi presuntuosi ci hanno portati dritti dritti in una grande depressione sociale e morale di cui la denatalità è diventata il sintomo più evidente e non più sottovalutabile. E io penso che è proprio di un coraggio come quello che anche lei mette in campo e della libertà responsabile che lei richiama che abbiamo bisogno in questo vertiginoso «cambio d’epoca » in cui si può e si deve custodire il posto dell’uomo e della donna, e dei figli della donna e dell’uomo, in una società che, come non mai, è tentata dal transumano e minacciata dalla (auto)disumanizzazione.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI