mercoledì 29 ottobre 2008
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Che avesse ragione chi " come Joseph Schumpeter " teorizzava la necessità della distruzione creativa perché il capitalismo, o diciamo pure il mercato, rimanesse sano e vitale? Guardiamo i fatti: che lo tsunami che sta travolgendo le economie mondiali sia abbastanza distruttivo non v'è ormai alcun dubbio. Che possa creare qualcosa di nuovo e di buono è tutto da vedere. In compenso abbonda il paradosso, con una fertilità di invenzioni che supera ogni fantasia. Basta pensare al settore auto. Sulla sponda occidentale dell'Atlantico in questi giorni si mastica amaro: General Motors e Chrysler, due dei tre colossi statunitensi, sentono odore di "Chapter 11", la procedura di amministrazione controllata che prelude al fallimento per bancarotta, come accadde qualche anno fa alla Delta Airlines, una delle più grandi compagnie aeree americane e più recentemente a Enron, WorldCom e ultimamente a Lehman Brothers. Per evitarla, l'amministrazione Bush progetta un nuovo piano di interventi di sostegno, ovvero altra iniezione di liquidità dopo il prestito agevolato da 25 miliardi di dollari di qualche settimana fa, ma si tratterebbe solo di un prestito-ponte, in attesa di una fusione vera e propria fra le due case automobilistiche. Il che non risolverebbe affatto il problema, in quanto si producono troppe automobili e se ne vendono troppo poche. Anche il lancio della Nano, l'utilitaria più economica del mondo prodotta dall'indiana Tata Motors, probabilmente slitterà al primo trimestre del 2009 mentre Toyota rivede al ribasso le proprie previsioni. Sulla sponda orientale le cose non vanno affatto meglio: Peugeot, Citroën e Renault (che stimano una caduta di oltre il 5,2% delle vendite) annunciano l'arresto della produzione e la messa in mobilità di un numero per ora imprecisato di addetti, Fiat paga il declassamento del proprio rating, Volvo preannuncia 2.200 licenziamenti, mentre Daimler-Benz profetizza un 15% di ribasso sul fatturato e il numero uno della Volkswagen Ferdinand Piech parla molto realisticamente di «traversata del deserto per il settore auto». Ma ecco che in questo scenario desolante spunta il paradosso creativo schumpeteriano: chi crederebbe che con questi chiari di luna la Volkswagen sia diventata la prima società mondiale per capitalizzazione di Borsa, più forte di Microsoft, di Ibm e perfino di Exxon, il colosso statunitense dell'energia? Impensabile, eppure accade nel folle recinto della speculazione (la stessa che ha cagionato il tracollo mondiale dei valori borsistici e la catena di default più o meno tamponati dalle varie nazioni) allorché il titolo del gruppo tedesco " sì, proprio lo stesso della "traversata del deserto" ha toccato quota 1.005 euro, sette volte il valore medio dei tempi passati. La ragione non ha nulla di virtuosamente industriale (il comparto va male come abbiamo visto anche in Germania), ma poggia sull'annuncio della Porsche di salire dal 43 al 75% del capitale di Volkswagen, cioè di scalarla. E la parola stessa, take over, basta a eccitare il sensibilissimo mercato finanziario e a scatenare la speculazione. Resta un fatto, incontestabile: nel generale clima recessivo un gruppo automobilistico (Porsche) sta per conquistarne un altro (Volkswagen). Chiamatela come volete, distruzione creativa o mano invisibile del mercato, ma sempre di economia reale, vivaddio, per una volta si tratta.
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