sabato 14 gennaio 2017
Credo nei ragazzi: insegniamo loro a custodirsi a vicenda
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Amo perdutamente i giovani. Conosco il loro cuore, i loro sogni di bene, i loro slanci, ma conosco anche le paure, i limiti, le contraddizioni. Ne ho incontrati a migliaia nella mia vita e in loro ho visto tragedie, ma anche bellezza infinita. Soffro quando li vedo andare in prima pagina perché protagonisti di fatti atroci di cronaca. Per certi aspetti è normale, ma fino ad un certo punto. Ricordo ancora quando due anni fa oltre 50mila ragazzi di tutta Italia e del resto del mondo si diedero appuntamento in piazza Plebiscito a Napoli per riflettere sulla coscienza. Erano giovani normali, puliti, con sogni e insicurezze, arrivati pagandosi le spese. Quel giorno testimoniarono con la vita il loro impegno per la pace, per la giustizia, per il bene e alla fine dell’incontro ripulirono anche la piazza. Bene, quei 50mila giovani non fecero notizia, in pochissimi parlarono di loro. Forse, se avessero inveito e spaccato tutto, si sarebbero meritati l’apertura dei telegiornali. Ma le cose non andarono così. Il gioco di sempre. Inutile nascondersi dietro a un dito: il male esiste, ma esiste anche il bene, anche se fa meno rumore. Penso che in linea generale questo sia il criterio che ammorba anche il nostro modo di vivere, la qualità del dibattito nella società, l’idea stessa di impegno civile.

Ci siamo persi per strada il bene comune come valore, ci facciamo prendere dall’odio, dalla tentazione di puntare il dito, di dividere il mondo tra puri e delinquenti. Ma così facciamo davvero poca strada. Di fronte a giovani che sbagliano, che commettono azioni disumane, preferisco fare silenzio. Anche le opinioni legittime di educatori, psicologi ed esperti lasciano il tempo che trovano e in questi momenti servono a poco. Penso solo che la chiave sia riscoprirci custodi gli uni degli altri, lì dove siamo. Mi chiedo come sia possibile che nessuno sia capace di intuire una sofferenza, un’ossessione, un disturbo di una persona vicina, prima che arrivi a compiere il male. Un giovane che uccide ha amici, educatori, famigliari, qualcuno vicino. E questo vale per tutti, anche per noi adulti. Penso per esempio agli scandali di cui si sono macchiati alcuni uomini di Chiesa. Possibile che di fronte a abusi e violenze per troppo tempo si sia risposto con imbarazzi e omertà? Saggio quel vescovo che non dimenticherò mai. Venuto a sapere di un crimine commesso da un suo prete, prese carta e penna, chiese scusa e disse: «Sono pronto a pagare per lui». Ma penso anche alla vita civile, alle complicità e alle connivenze che si creano quando qualcuno non fa il proprio dovere e magari ruba. Quando nelle famiglie o negli ambienti educativi possono entrare abusi e mostruosità. Possibile che non ci sia nessuno pronto a dire 'Basta!', in grado di intuire, di cogliere certi segnali, di denunciare? Possibile? Non c’è giudizio in questo. So bene che a volte il cuore e la mente resistono anche all’amore più accanito. Ma il nodo rimane: come possiamo crescere in questa responsabilità? Come possiamo diventare realmente custodi? Lo chiedo prima di tutto a me stesso, a ognuno di noi, ai giovani. Custodire è la strada.

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