«Così in carcere ho imparato dal Papa che il pianto apre all'intimità con Dio»
giovedì 30 marzo 2017

Caro direttore,

finalmente ho dormito. Dopo 117 giorni di custodia cautelare preventiva, sono riuscito a riposare sei ore di seguito fino a questa mattina di domenica. E questo lo devo a un «sacerdote», un uomo, un padre, un nonno, un santo che, a una domanda rivolta tra un boccone e l’altro, con una semplicità sconcertante, mi ha risposto: «Piango... ». Eh sì, anche il Papa piange. Gli ho chiesto: «Francesco, ma come fai a fare tutto ciò che fai?». E lui: «Piango... piangere mi consente di raccogliermi con me stesso e unirmi con Dio». Ieri, sabato 25 marzo, ho vissuto la liturgia eucaristica in un modo nuovo, inconsueto e forse “banale” nello svolgimento del pranzo di noi detenuti nel carcere di San Vittore. Gli abbiamo versato l’acqua e l’aranciata dalle nostre stesse bottiglie condivise, ha aspettato che tutti fossimo serviti – più di 100 persone – del risotto alla milanese per cominciare a mangiare e poi ha tagliato la cotoletta in due perché troppo grande per lui, dicendo che non poteva mangiare troppo, in quanto aveva tanto da camminare nella giornata, e alzandola in alto ha chiesto: «Chi la vuole?». Ieri sera dopo aver mangiato le stesse cotolette cucinate in cella e condivise fra i miei con-cellini, ho pianto e finalmente... sognato. È domenica e tra poco «comincia Messa» nella rotonda benedetta dal Papa . Qui tutto è cambiato – la storia è stata fatta – la storia è passata da qui. E dormire per me non sarà più lo stesso... Piangerò, dormirò e sognerò finalmente. Grazie Francesco!

Fortunato Ficara San Vittore, Milano

C’è poco da far poesia nella condizione che sta sperimentando, gentile e caro signor Fortunato. Eppure lei riesce a dare forza poetica alla sua umana fatica di detenuto in attesa di giudizio, e alla gioia dell’incontro che il nostro Papa ha saputo accendere in tutta la Milano capace di ascoltare, vedere e sentire e in tutti coloro – milanesi e no – che non sono soltanto desiderosi, ma anche liberi (interiormente liberi, intendo) di accogliere e comprendere la parola di Francesco, che è puro e semplice Vangelo e pura e semplice vicinanza di fratello e di padre. Una gioia raggiungibile e in effetti raggiunta da quanti hanno avuto, e ancora avranno, il coraggio cristiano e civile di partecipare al dialogo riconciliatore e rigeneratore che il Papa ha intessuto in modo esemplare per un intero giorno di festa e di lavoro nella speciale città-mondo che Milano è sempre più diventata, coniugando tante diverse e anche piccole e piccolissime facce con la sua grande vocazione di «luogo di mezzo». Grazie, signor Fortunato. La sua voce è un’altra e preziosa voce “da dentro”. Da dentro la visita a Milano di Francesco, del quale ci ha portato accento e gesti. Da dentro l’intimità con Dio di un Papa che sa parlare col suo Signore nell’abbandono inerme delle lacrime, e proprio per questo arriva a toccare il cuore anche dei più apparentemente lontani. Da dentro il carcere, luogo che rischia di essere sempre più pensato come una discarica di umanità. E da dentro l’esiguo e forzatamente condiviso spazio di una cella, reso ancora più stretto dal peso di pensieri amari, cioè da una delle condizioni più dure e umilianti che si possano provare, tali – appunto, come lei scrive – da togliere il sonno. Sono contento che, grazie al Papa, il sonno lei l’abbia ritrovato. Che abbia imparato o riscoperto il nudo senso e la libertà del pianto. E che ora nelle sue parole ci sia speranza. Le auguro che ogni risveglio, proprio in quel triste pezzetto di Milano che conosciamo come San Vittore, l’avvicini un po’ di più a un giorno davvero nuovo nella sua vita.

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