domenica 3 aprile 2011
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Tra pochi mesi la Chiesa universale potrà annoverare quattro italiani nella schiera dei beati: due suore, un missionario e – absit iniuria verbis – un parroco di campagna. Gente del Nord e del Sud, com’è bello che sia nell’anno che ricorda il centocinquantesimo dell’unità. Sarà festa grande in Calabria, perché per la prima volta una donna di quella terra sarà elevata agli onori degli altari: suor Elena Aiello, fondatrice delle Suore Minime della Passione. Una storia straordinaria, la sua: basti pensare che, ammalatasi gravemente, Elena viene espulsa dalla congregazione in cui era entrata, e rimandata a casa, finché un miracolo non la restituisce alla vita. Dei quattro, suor Aiello (morta nel 1961, a ridosso del Concilio) è l’unica fondatrice di una congregazione. Nessuno degli altri tre, al contrario, ha dato origine a una famiglia religiosa.Ma vediamoli da vicino, questi tre "soldati semplici". Il primo è un prete ambrosiano, don Serafino Morazzone, vissuto fra la metà del Settecento e gli inizi dell’Ottocento. Il secondo, Clemente Vismara, è anch’egli un sacerdote milanese, brianzolo di Agrate, consacratosi missionario nel Pime (Pontificio Istituto Missioni Estere) e morto in Birmania (l’attuale Myanmar) nel 1988, a 91 anni, dopo averne spesi 62 in missione. Il terzo volto è quello dell’«angelo di San Vittore», suor Enrica Alfieri, delle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret, vercellese di nascita, ma morta a Milano, sessantenne, nel 1951.Il filo rosso che lega queste tre vicende spirituali – così diverse per epoca, vocazione, coordinate geografiche - è la "straordinarietà dell’ordinarietà": l’aver vissuto in maniera appassionata, tenace e gioiosa la propria fedeltà alla vocazione cristiana. Tutto qui? Tutto qui. E scusate se è poco.Il fatto è che quando il cristianesimo è preso sul serio lascia il segno. Quando la fede innerva la vita e pulsa nel quotidiano può diventare terribilmente contagiosa. È stato così per don Serafino Morazzone che, nel rione lecchese di Chiuso, dov’è sepolto, da tempo è chiamano beato. A spendersi per la sua canonizzazione è stato il cardinale Schuster, che lo definì «novello curato d’Ars». Ma prima di lui la fama di santità di questo prete umile e discreto aveva conquistato nientemeno che Alessandro Manzoni, il quale l’aveva scelto come confessore per poi immortalarlo nel Fermo e Lucia. Anche l’amore gratuito e sorridente di suor Alfieri aveva colpito profondamente chi le stava vicino. Tanti detenuti hanno custodito gelosamente un ricordo indelebile della sua instancabile assistenza: tra loro anche "laici" notissimi, come Mike Bongiorno e Indro Montanelli.Un altro giornalista di fama, Giorgio Torelli, ha speso parole impegnative per padre Clemente Vismara. Di lui più di un confratello ebbe scherzosamente a dire: «Se beatificano lui dovrebbero farlo anche per tutti noi...», a significare la sua "normalità". Eppure Torelli scrive: «Grande come questa vicenda ce n’è poche o forse nessuna. Siamo in presenza di una milizia clamorosa. Un missionario parte, prende posizione in Birmania, si svena di fatiche evangeliche, matura, cresce, agisce, invecchia: mani operaie e cuore di fanciullo. Io ne sono profondamente conquistato». Ebbene. Nel "conquistare a Cristo" chi ti è accanto sta il segreto della santità. Non contano tanto i risultati. Conta lasciare il segno. Nei cuori.
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