martedì 3 giugno 2014
COMMENTA E CONDIVIDI

Il mutare del vento, in Europa, l’hanno avvertito anche nelle ovattate stanze di Bruxelles. E così le pagelle che la Commissione europea ha riservato ai Paesi membri, quest’anno si sono fatte assai più calibrate che in passato. Cancellata, pare all’ultimo minuto, una "bocciatura" del rinvio del pareggio di bilancio in Italia al 2016, sono rimasti i richiami ad accelerare le riforme per favorire la crescita e poter così aggredire l’enorme montagna del debito pubblico. Ma, assieme, sono restati i dubbi sulla consistenza della ripresa economica messa in preventivo dal governo e, dunque, sul rispetto degli obiettivi di contenimento del deficit.Nel documento della Commissione non c’è infatti la richiesta esplicita di una manovra correttiva entro l’anno, ma la sottolineatura della necessità di più generici «sforzi aggiuntivi» per evitare un "buco" che l’opposizione quantifica in 9-10 miliardi e altri stimano (più realisticamente) in "soli" 3 miliardi di euro. Il governo si è mostrato tranquillo: il ministro Pier Carlo Padoan parla di un riconoscimento all’Italia del cammino intrapreso sulle riforme, sottolineando come alla Commissione manchino alcuni elementi di giudizio sui ricavi previsti con le privatizzazioni e sui risparmi di spesa pubblica messi a punto ma «non ancora dettagliati».Difficile stabilire chi abbia vinto ieri la parallela arrampicata sui vetri: se il commissario europeo Olli Rehn che sui conti italiani dice, non dice, si contraddice. O se il nostro ministro dell’Economia, per il quale il diplomatico giudizio della Commissione sarebbe il «riconoscimento di un’Italia virtuosa». Inutile, però, discutere se il bicchiere oggi è mezzo pieno o mezzo vuoto. Perché in realtà i nodi sono due: uno economico e l’altro squisitamente politico. Il primo attiene alla fragilità della nostra ripresa economica. Il dato sulla crescita (anzi decrescita) del Pil nel primo trimestre di quest’anno (-0,1%) segnala che siamo (o almeno eravamo fino a marzo) ancora nel pantano. E che il governo è stato quantomeno "ottimista" nelle sue previsioni. Il 2014 è partito con l’handicap e risalire non sarà facile. Molto, moltissimo dipenderà dall’effetto - anche psicologico - del bonus da 80 euro appena arrivato nelle tasche di 10 milioni di italiani. Dalla percezione di un suo possibile allargamento e consolidamento nei prossimi anni. Nel frattempo va messo in conto l’effetto negativo del pagamento della Tasi: al di là della cifra finale che ogni padrone di casa dovrà versare – inferiore o superiore che sia alla vecchia Imu – la mancanza di chiarezza su scadenze, aliquote, calcolo è già tale da generare oggi incertezza e scoramento nei cittadini-contribuenti-consumatori. In questo quadro una manovra aggiuntiva, fosse pure di soli tagli e risparmi, avrebbe un effetto devastante. Perciò, fa certamente bene il governo a cercare di scongiurarla in ogni modo, pure "giocando" sui margini di qualche decimale del rapporto deficit/Pil. E oggi, indubbiamente, ha più forza di ieri per farlo.Qui infatti emerge il secondo nodo, quello politico. In questo momento la Commissione europea, che è uscente e ha sulle spalle parte delle responsabilità della lunga crisi economica, si trova in una posizione di debolezza rispetto ai singoli governi nazionali. Anche, novità assoluta, rispetto a quello italiano che – pur nella sua fragilità intrinseca – è uscito vincitore dalle ultime elezioni e che si prepara a guidare il prossimo semestre Ue.

Mentre in tutto il Continente si è alzato impetuoso il vento antieuropeo, quello che vorrebbe spazzare via l’euro e smontare buona parte della struttura dell’Unione, da noi ha vinto chi difendeva l’Europa (fronteggiando un’area vasta e divisa di malmostosi verso la Ue). Purché, però, cambi profondamente, privilegiando le politiche espansive, la crescita e il lavoro. Il nostro governo ha dunque un’occasione per convincere la Germania e gli altri alleati a privilegiare questa strada rispetto a quella del pedissequo rispetto di Trattati e Fiscal compact. Ma potrà farlo solo e se dimostrerà entro l’autunno di aver ottenuto risultati tangibili sul piano interno. Quale credibilità può avere infatti un piano europeo di riforme se proposto da un Paese che non riesce neppure a scrostare la troppa ruggine che blocca i propri meccanismi?Quella di oggi, allora, è veramente una "condanna" da parte della Ue. Una condanna alle riforme. E Renzi non ha che da prenderne atto, tirando dritto e accelerando il suo programma. Anche a costo di qualche forzatura.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: