Con il fisco o con l’assegno, ciò che conta è sostenere le famiglie
domenica 23 aprile 2023

Il dibattito sulla natalità da ricondurre sui giusti binari Il dibattito sulla natalità non fa primavera, ma è ormai un fatto che in Italia in questa stagione ci si metta a parlare di nascite e di famiglie più di quanto non si faccia durante gli altri periodi dell’anno. È un buon segno, e una parte del merito può essere attribuita all’ex presidente del Forum delle Famiglie, Gigi De Palo, l’inventore delle piazze con i passeggini vuoti, l’animatore politico del cammino che ha portato alla nascita dell’Assegno unico, e da qualche tempo organizzatore degli Stati generali della natalità (i prossimi sono a Roma l’11 e il 12 maggio). Il problema di quest’anno è che il confronto su demografia, nascite e aiuti alle famiglie è partito col piede sbagliato.

La proposta avanzata dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti di introdurre una forma di sconti fiscali per sostenere la natalità, che fa seguito alla richiesta della premier Giorgia Meloni di focalizzare l’attenzione del governo sul tema della risposta all’inverno demografico, ha finito per essere avvolta dal fumo di un dibattito tanto ideologico quanto tossico. L’Italia sembra un Paese incapace di liberarsi dal giogo di un passato caricaturale che forza ad attribuire alle misure per la natalità una missione dai connotati etnici (c’è chi lo pensa veramente), o dall’altro lato a cogliere in ogni tentativo premiale verso la genitorialità rigurgiti di un fascismo paternalista, lesivo dei diritti e persino delle libertà (si è sentito pure questo).

Forse allora è necessario resettare tutto e provare a fare un po’ di (sano) ordine. Un intervento ulteriore sulle misure per la natalità è necessario, perché il cammino che ha portato alla riforma dell’Assegno va, a detta di tutti, completato. Come? Questo è il punto, sul quale si dovrebbero concentrare le energie del confronto. Se guardiamo a due Paesi vicini che spesso si prendono come riferimento, e che tanti, a destra quanto a sinistra, citano come possibili esempi, le misure di tipo economico seguono un principio abbastanza chiaro e semplice: tutte le famiglie devono avere un sostegno di base consistente per ogni figlio.

Che questo aiuto arrivi attraverso uno sconto fiscale o un assegno, o con entrambi i metodi, poco dovrebbe contare. In Francia c’è un assegno che scatta solo dal secondo figlio e a questo si aggiunge il quoziente fiscale familiare che abbatte di molto le tasse per tutti coloro che hanno figli. In Germania si può scegliere tra assegno o deduzione fiscale. In entrambi i Paesi il beneficio che tutte le famiglie ottengono, rispetto a chi è single o non ha prole a carico, è all’incirca di 2-3.000 euro per ogni figlio. In Italia con l’Assegno unico si va da un massimo di 2.400, che non è poco, a un minimo di 660 euro annui a figlio (330 se maggiorenne), che non è molto.

Ora, se ci si concentra solo sul tema economico-fiscale, e si congela il dibattito attorno ai servizi, alla conciliazione, al lavoro femminile, al diritto alla casa e altre questioni fondamentali che pure servono a sostenere la natalità, la prima vera domanda cui ogni politico dovrebbe rispondere con chiarezza è la seguente: l’Italia vuole dotarsi oppure no di un aiuto economico significativo di base per ogni figlio a carico? Se la risposta è sì, allora la seconda domanda viene scontata: quanto? Una volta che ci si è messi d’accordo, tra rivali politici ma anche con sé stessi, sulla direzione da seguire, il metodo di intervento diventa solo tecnicamente rilevante.

Se il principio, sacrosanto, espresso da Giorgetti è che single e famiglie non possono essere tassati allo stesso modo, il percorso per arrivaci può essere una deduzione, una detrazione, o anche molto semplicemente una correzione dell’Assegno unico. Basterebbe cioè aumentare l’importo di base universale, e raggiungere una cifra equiparabile a quanto concesso in Francia e Germania, per chiudere la partita e passare ad altro. Un intervento sui figli avrebbe molto più significato, in termini di giustizia fiscale, di una più costosa e quasi impercettibile riduzione generalizzata del cuneo. A beneficio della sanificazione di un dibattito che ha preso una connotazione cupa, non sarebbe male provare a liberarsi anche dall’ossessione demografica, se non altro per un po’. Non c’è veramente una patria che ha bisogno di figli, come non c’è un sistema che deve importare braccia a basso costo.

Ci sono invece coppie con desideri e progetti famigliari che in Italia sono con evidenza molto più difficili da realizzare, a causa di un contesto economicamente ma anche culturalmente ostile. Vogliamo provare a cambiare qualcosa?

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