sabato 26 aprile 2025
Agli ossimori, in questi dodici anni sulla Cattedra di Pietro, ci aveva abituato. E anche oggi, sia nella cerimonia esequiale in senso stretto sia nel corteo che l'ha seguita, ce ne sono stati diversi
Concelebranti in San Pietro

Concelebranti in San Pietro - Reuters

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Semplice e solenne. Potrebbe sembrare un ossimoro l’impressione che ha lasciato a caldo il funerale di papa Francesco. Ma lui agli ossimori, in questi dodici anni sulla Cattedra di Pietro, ci aveva ampiamente abituato. E anche oggi, sia nella cerimonia esequiale in senso stretto, sia in quella sua particolare estensione che è stato il trasferimento della salma a Santa Maria Maggiore, di apparenti contrasti ce ne sono stati diversi.

Il primo e più evidente. L’omaggio dei potenti a San Pietro, l’abbraccio degli ultimi sul sagrato della Basilica Liberiana. In mezzo, quasi a fare da ponte (altra parola bergogliana per eccellenza), il grande affetto della gente. Cresciuto di ora in ora, come il numero di coloro che hanno preso parte a questa giornata memorabile. 140mila, poi 200mila, infine 250 mila solo nella zona di San Pietro, più quelli lungo il tragitto del corteo (altri 150mila), e i fedeli riuniti a Santa Maria Maggiore. Papa Francesco ha saputo tenere insieme tutte queste dimensioni.

La compostezza e gli applausi. Preghiera e raccoglimento con quasi nessuno striscione e zero acclamazioni. Ma solo quegli applausi, mirati si potrebbe dire, a sottolineare alcuni passaggi dell’omelia del cardinale Giovanni Battista Re. Quelli in cui il porporato evocava il suo impegno per la pace e le sue visite a Lampedusa e a Lesbo, con il conseguente impegno a favore dei migranti, dei profughi e dei rifugiati. Il Papa degli ultimi e della gente. Che ne hanno compreso l’insegnamento anche più dei grandi della Terra.

A proposito dei quali, ecco l’ossimoro più politico di questi funerali. Il rumore della guerra in tante parti del mondo, i primi sussurri di pace dentro la Basilica di San Pietro, simboleggiati ad esempio dal colloquio faccia a faccia tra Trump e Zelensky. Chissà che non sia proprio la pace il primo “miracolo” del Papa ora volato in cielo, dopo aver sorvolato con i suoi 47 viaggi il mondo intero e aver predicato pace dappertutto.

Infine, quarto ossimoro, il mondo e Roma, la dimensione glocal di papa Francesco. Per questi funerali sono arrivati davvero dai quattro angoli della Terra, a partire dai cardinali da lui nominati anche in terre in cui i cattolici hanno percentuali da prefisso del telefono e dalle 170 delegazioni di altrettanti Stati. Ma alla fine ciò che è rimasto negli occhi è stato il ruolo di Roma, protagonista di queste esequie con il suo sole di aprile e il cielo terso, con le sue strade gremite di gente, che hanno fatto ala al passaggio del feretro sulla papamobile riadattata, fino a Santa Maria Maggiore. Come vescovo di Roma Jorge Mario Bergoglio si era presentato in quel tardo pomeriggio del 13 marzo 2013. E la sua bara di Vescovo di Roma che attraversa tutto il centro della sua diocesi ce lo riconsegna alla fine proprio in questa dimensione. Il Papa è tale perché è Vescovo di Roma, la Chiesa – come disse Francesco dodici anni fa dalla Loggia di San Pietro - che presiede nella carità. Così quelle immagini straordinarie, che non si vedevano da decenni, diventano eredità per tutti. E anche memento per chi verrà dopo Francesco.

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