Come a caccia del sottouomo (là dove non c’è la guerra)
venerdì 3 febbraio 2023

In un sobborgo di Los Angeles un uomo in carrozzella ha accoltellato un passante. Periferia metropolitana, pieno giorno. Nel video sul web l’aggressore è un afroamericano giovane, in carrozzella, che ancora brandisce un coltellaccio fra le mani. Gli agenti gli si avvicinano, le armi in pugno. Gli intimano di gettare il coltello. Allora Anthony Lowe, 36 anni, padre di due figli, pregiudicato, le gambe amputate, fa una cosa assurda: si butta giù dalla carrozzella e, senza mollare il coltello, tenta la fuga arrancando sui monconi.

Il gesto, evidente, di un uomo fuori di sé. Ti aspetti che i poliziotti si fermino e abbassino le armi: non andrà lontano, quel disgraziato. Invece no: in tre, almeno tanti se ne vedono, inseguono il ragazzo nero che fugge strisciando. Hanno le pistole puntate, e pare quasi che lo lascino andare col gusto di vedere cosa crede, quell’handicappato, quel mezzo uomo, di fare. Una scena di caccia di tempi primitivi. Cavernicoli che tallonano con la clava un cinghiale azzoppato. Pochi secondi di “inseguimento”, poi gli agenti sparano. Dieci colpi. Parecchi, per uno senza gambe, che non poteva andare lontano.

Ma i passanti hanno filmato. Gli agenti sostengono che avevano cercato di neutralizzare Lowe con il taser. Dicono che lui minacciava di scagliargli contro il coltello. Non un grande pericolo, visto che l’uomo era in carrozzella. Bastava stargli lontano. Bastava aspettare. Se ne sono viste, di violenze della polizia americana sugli afroamericani: uomini a terra massacrati di botte, o soffocati con un piede o un ginocchio premuti sul collo. Se ne sono viste tante, ma questo video lascia senza fiato. Perché è una scena atroce, da lager nazista, la caccia al giovane folle di paura, l’incalzarlo mentre come una bestia che, ferita, arranca. L’accanimento contro Lowe è tale da far pensare che per quegli agenti un nero, prgiudicato e handicappato, non sia un uomo come loro. Quasi Untermensch. Sottouomo.

Quegli agenti, forse, di quel pensiero perverso sanno poco. Ma nella violenza di cui sembrano godere pare che quella mala erba, quell’idea oscura l’abbiano dentro, innata. Lo sappiamo, una radice di male è in ogni uomo, una radice profonda di cui volentieri ci dimentichiamo. Peccato originale si chiama, ma è un’espressione in disuso, e impronunciabile nella grammatica del politically correct. Questa radice, dunque, che spunta così rigogliosa in una qualunque mattina dell’anno 2023 a Huntington Park, Los Angeles, California. Da un anno siamo abituati alle immagini da una guerra a noi vicina, una guerra fotografata, ripresa, in diretta, come mai prima d’ora. Abbiamo visto le fosse di Bucha, e i civili ucraini condotti in fila, docili, all’esecuzione, e i passeggini distrutti sul marciapiedi insanguinato di una stazione del Donbass.

Abbiamo visto di tutto, eppure queste immagini da un grande Paese ricco, in pace, democratico, lasciano muti. A Los Angeles non c’è la guerra. Milioni di poveri darebbero chissà cosa per vivere a Los Angeles, Stati Uniti d’America. In quel grande potente Paese. E allora cos’è questo sussulto di ferocia, il ragazzo nero che arranca come una povera preda spacciata? Alle volte ci inorgogliamo, di quel che l’uomo sa fare. La Luna, Marte, l’energia nucleare, e l’intelligenza artificiale, e il metaverso; e quali poesie, e quale musica, e quali cattedrali. A volte ci commuoviamo per i benefattori, gli eroi, i liberatori di popoli. Tutto vero. Ma quel video da Los Angeles è come uno scoglio coriaceo, in cui duramente sbattiamo. Occorre aver memoria di tutto quello che siamo, e possiamo essere. Nella nostra libertà, capaci di tutto, da zero all’infinito.

Dai gulag a Madre Teresa. Di mezzo, tanti uomini “normali”, buoni o cattivi. A seconda del momento. Distrattamente. Probabilmente anche quei poliziotti a casa hanno dei figli. Ma guardate cosa hanno fatto. Occorre avere memoria, gratitudine, affetti, e quindi immedesimazione, e quindi misericordia, per non ridursi a predatori di disgraziati. Occorre, forse, almeno l’eco, dentro, di un Dio di cui siamo figli – tutti, e quindi fra noi fratelli. Perché altrimenti siamo capaci di ogni cosa: dall’infinito a zero, all’uomo annichilito.

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