martedì 9 marzo 2010
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Il massacro di oltre cinquecento persone, per la stragrande maggioranza cristiane, nello Stato nigeriano del Plateau è aberrante e va condannato senza alcun distinguo. Non solo perché si tratta dell’ennesimo affronto alla sacralità della vita umana, ma anche per l’uso scellerato che menti perverse hanno fatto della religione. In meno di un anno e mezzo è già la terza volta che lo Stato della Nigeria centrale assurge all’onore delle cronache per atti criminosi che vedono coinvolti esponenti di fede musulmana e cristiana.È difficile risalire alle precise responsabilità iniziali di questi massacri, in cui si uccidono all’arma bianca masse inermi, essendo la realtà nigeriana un crogiolo di etnie e culture, in un contesto geo-politico caratterizzato da forti disparità sociali. Un mosaico nel quale è facile manipolare l’insoddisfazione dei ceti meno abbienti in nome dell’appartenenza a questa o a quella etnia, o anche in nome della fede. Eppure, tutti sanno che dietro le quinte si celano interessi politici di parte, giochi di potere e antiche rivalità, sia a livello regionale sia nazionale. Fenomeni che hanno a che fare con le negligenze di un governo centrale, quello di Abuja, che da circa un decennio tollera l’applicazione della sharìa, la legge islamica, negli Stati del Nord, peraltro in flagrante violazione del dettato costituzionale di una Repubblica Federale che non dovrebbe rinnegare la propria laicità.Stiamo parlando di un Paese dove l’1% della popolazione ha il controllo quasi assoluto della ricchezza nazionale e in cui i fondi destinati alla spesa pubblica sono una misera manciata di spiccioli rispetto al volume complessivo di denari generati dal business petrolifero. Un sistema corrotto nel quale il diritto di cittadinanza sembra essere ancora una nozione astratta per la stragrande maggioranza della popolazione. E mentre le autorità intervengono ancora una volta in ritardo, mobilitando legioni di poliziotti e militari per riaffermare l’ordine pubblico, in queste ore si sta consumando il macabro rito del riconoscimento dei parenti e congiunti caduti nell’orribile mattanza nei villaggi di Dogo-Na-Hawa, Rasat e Jeji a sud della città di Jos.Questa volta gli attori delle violenze sono stati pastori musulmani dell’etnia fulani, la volta precedente, nel gennaio scorso, gli scontri erano iniziati per colpa di cristiani "pseudo-evangelici". Sarebbe comunque fuorviante dividere lo scenario tra "buoni" e "cattivi". Indubbiamente, vi sono in Nigeria frange estremiste che seminano il terrore su procura, ma i veri mandanti sono personaggi il cui unico fine è quello di indebolire lo Stato di diritto. Ecco che allora quanto sta avvenendo nel Plateau è la cartina al tornasole di un Paese in cui la politica delle alte sfere finora ha dato il cattivo esempio. La dicono lunga i giochi di potere a livello locale e le evidenti tensioni tra il vice presidente Goodluck Jonathan, di fede cristiana, cui il Parlamento ha trasferito i poteri, e presidente Umaru Yar’adua, gravemente malato, appartenente alla comunità islamica. Peccato che il braccio di ferro, per induzione, contamini questa o quella fazione, acuendo peraltro l’insicurezza. Secondo autorevoli fonti della società civile, gli assassini e i mandanti, poco importa se musulmani o cristiani, delle stragi occorse nello Stato del Plateau nel 2001, 2004, 2008 e nel gennaio 2010, sono praticamente tutti a piede libero. Non c’è dunque da meravigliarsi se gli sterminatori sono tornati a usare il machete. Si sa bene che la Nigeria potrebbe garantire a tutti migliori condizioni di vita, non foss’altro perché galleggia sugli idrocarburi; eppure, continua a essere metafora delle ingiustizie di oligarchie che godono della connivenza di potentati stranieri. Non a caso la Chiesa Cattolica, attraverso il suo episcopato, ha sempre stigmatizzato la pesante sperequazione tra i ceti più ricchi e quelli meno abbienti, da cui dipende la cronica instabilità della nazione. La comunità internazionale non può continuare a rimanere inerte, perché la vita umana vale più dell’oro nero.
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