mercoledì 9 giugno 2010
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L’Africa pare uno scrigno di magia, la quintessenza del mito. È abitata da persone prevalentemente di colore nero, una folta foresta rende oscura la via. È, senza bisogno di spiegazioni etimologiche, il Continente Nero. Nel suo sottosuolo si trovano le più grandi ricchezze della terra. Petrolio, che produce calore e energia, ma questa ricchezza non è esclusiva africana, mentre in nessun luogo come in Africa la terra nasconde nelle sue viscere diamanti e oro. Diamanti e oro non sono soltanto simboli assoluti di ricchezza – l’oro, come sappiamo, finì per identificarsi in molte parti del mondo con la realtà stessa di moneta – ma sono due archetipi. Il diamante è la pietra della luce, che già molti millenni orsono, e fino al Cinquecento, affascinò gli alchimisti per il segreto luminoso di eternità che contiene. L’oro è da sempre il simbolo supremo di luce, affratellato al sole, sigillo di ricchezza, calore, potere.Queste due entità assolute, luminose, celesti, si trovano sotto la crosta della terra, e in misura quanto mai abbondante in Africa. Ma questo forziere di immenso valore è stato la ragione principale della disgrazia del continente, della sua sventura. Per appropriarsi di quel tesoro i bianchi e gli ambrati d’Occidente e d’Oriente hanno violato e violentato quelle terre, non disdegnando nel frattempo di catturarne gli esemplari umani per incatenarli, metterli nelle stive, esportarli e venderli ai mercati. Il destino dell’Africa sembra quello di produrre meraviglia e luce: in tutto il resto del mondo le carcasse degli animali sono solo carcasse di animali, in Africa le zanne degli elefanti producono avorio, sostanza bianca, preziosissima, levigata, fatta per esaltare la luce.Le fiabe hanno grandi archetipi, uno dei principali parla di un bambino, semplice, umile, povero, umiliato, che scopre un tesoro. Cenerentola deriva da questa costola, come tante altre avventure nel buio sfocianti nella luce. Le fiabe che ci raccontano l’ Africa hanno tutte un triste, tragico finale. Il bambino non trova il tesoro, muore nella miniera. L’oro, il diamante, il simbolo della felicità eterna, della luce ultraterrena, dell’immortalità, del divino, non è mai raggiunto dalle sue mani. L’ Africa ci racconta una fiaba crudele. Una canzone di Paul Simon narra della nera, di fatto schiava, che ha i piedi tempestati di diamanti, quelli che calpesta lavorando in miniera. Romanzi di Jan Fleming, e d’altri autori di thriller, parlano delle preziosissime gemme nascoste in bocca dai neri asserviti nelle miniere. Il tesoro di quella terra non tocca mai ai suoi abitanti, se non per vie illegali, furtive e dal finale tragico.La Nigeria ha un patrimonio sotterraneo di ricchezza smisurata, oro e diamanti, e tale ricchezza pare osmoticamente traboccare, emanare dalla terra nelle bellezza dei suoi abitanti, finché questa non viene minata dalla fame e dalla sete, nel genio della sua tradizione letteraria e teatrale: Chinua Achee, e Wole Soyinka, primo Nobel africano per la letteratura, guidano il drappello dei grandi scrittori nigeriani. Ma la Nigeria, come l’antica Grecia, a cui tanto assomiglia la sua mitologia, è terra di tragedia: le notizie di questi giorni hanno la crudeltà di una fiaba sadica. Bambini anche di solo quattro anni che muoiono per esalazioni, costretti a cercare abusivamente e obbligatoriamente l’oro.Uccisi dall’oro che le loro dita non avrebbero comunque mai potuto indossare, né soltanto sfiorare. Uccisi da un metallo il cui valore non comprendono, ma che devono cercare. Quando i valori naturali in loro sono la vita, il cibo, l’acqua, la sacra realtà della natura. Non la luce del diamante, ma quella del sorriso.
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