mercoledì 13 luglio 2011
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Quando nel 1992 Bruce Springsteen, il rocker americano per eccellenza, incise 57 Channels (and Nothin’ on), in Italia nessuno immaginava che un giorno avremmo ricevuto così tanti canali. Rai, Mediaset e Telemontecarlo (allora La 7 si chiamava così) c’erano già. E anche la Tv Svizzera, Capodistria e molte emittenti locali. Ma di fatto nessuno poteva vedere 57 canali sul proprio televisore. Eppure quella canzone faceva effetto. Narrava la storia di un uomo che dopo avere «comprato una casa borghese sulle colline di Hollywood» decide di regalarsi la cosa per lui più importante: cioè un bel po’ di canali (via cavo) della tv americana. Ma dopo avere fatto zapping per una notte intera, ecco la delusione: sulla sua tv «c’erano 57 canali e niente dentro». Ma l’uomo non demorde: «ho fatto un salto in città per comprare un ricevitore satellitare... Sono arrivato a casa e l’ho puntato dritto verso le stelle/ Un messaggio è ritornato dallo spazio infinito/ Ci sono 57 canali e niente dentro».Poco meno di vent’anni dopo la nascita di questa canzone, nelle case italiane raggiunte dal digitale terrestre si vedono ben più che 57 canali. In alcune, anche il doppio. Per non parlare dell’offerta satellitare, che ne eleva il numero a oltre 200. Eppure anche in quest’estate di mercati roventi, manovre economiche da varare e rischi finanziari per l’Italia, sulla maggior parte di quei 200 canali – dal punto di vista dell’approfondimento – «non c’è dentro niente». E mentre il risparmiatore medio, l’utente medio, il cittadino medio ha sete di spiegazioni e di informazioni, gli unici «chioschi aperti» per dissetare la sua curiosità li trova sui canali all news (cioè di sole notizie) come SkyTg24 e Rainews24 oppure su La7 («In Onda») o a tarda sera su Raitre («Linea Notte)». Poche (virtuose) gocce in un mare.Il problema – come la canzone di Springsteen – non è nuovo. Ma nuovo è il contesto. Questa è la prima estate nella quale gran parte dell’Italia è raggiunta dal digitale terrestre, quella nata per darci più canali, più qualità, più offerta. Perché allora la televisione degli approfondimenti, dei dibattiti, delle spiegazioni – con in testa le reti del Servizio pubblico – deve andare in vacanza da giugno a metà settembre come uno scolaretto delle elementari? I motivi sono tanti. Il primo e più pesante è che la tv ormai «è in guerra per l’auditel» per nove mesi l’anno e in quel periodo, di fatto, spende quasi tutte le sue risorse. Così d’estate «risparmia» e a noi risparmiatori preoccupati non resta – come l’altra sera – che uno speciale «Porta a porta» sui delitti dell’estate (e su Mediaset «Tamarreide», una pseudo inchiesta a puntate su ragazzi orgogliosi di essere maleducati e volgari).Mettiamo Mediaset tra parentesi perché, comunque la si pensi, il compito principale di informare gli italiani è e resta del Servizio Pubblico. Apparentemente, essendo il canone Rai di fatto una tassa di possesso dell’apparecchio tv o di un pc, non potremmo nemmeno protestare. A difenderci c’è pero il Contratto di servizio con la Rai, sottoscritto lo scorso 6 aprile 2011 presso il ministero dello Sviluppo economico e che regola i diritti e i doveri del Servizio pubblico. Scadrà alla fine del 2012. È lungo 1697 righe, divise in 381 paragrafi e contiene 15.189 parole. In nessun punto si dice che gli approfondimenti Rai possono o devono andare in vacanza. Anzi, il comma tre dell’articolo 2 (paragrafo «c») recita: «(La Rai) deve assicurare un elevato livello qualitativo della programmazione informativa, ivi comprese le trasmissioni di informazione quotidiana e le trasmissioni di approfondimento». Anche d’estate.
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