sabato 30 ottobre 2010
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Non ci piace guardare dal buco della serratura. E del personale stato di salute dei nostri politici – come dei dati sensibili di chiunque – ci interessiamo con sommo rispetto e soltanto lo stretto necessario. Ma lo sguardo che riserviamo ai fatti della nostra politica è diretto e attento. E lo stato di salute delle istituzioni repubblicane ci preme moltissimo. Anche in queste ore, nelle quali l’impetuoso sviluppo mediatico del cosiddetto «caso Ruby» sta proponendo questioni vecchie e nuove. A seguito di un’inchiesta giudiziaria milanese, da parte della stampa (non, a quanto risulta, da parte dei magistrati) si torna, infatti, a ipotizzare il coinvolgimento del presidente del Consiglio in situazioni ambigue e spericolate. E a questo proposito ha qualcosa da dire anche chi, come noi, secondo il costante costume giornalistico di Avvenire, non precipita mai valutazioni e giudizi.C’è un punto nodale. Ed è se Silvio Berlusconi, in qualità di primo responsabile del potere esecutivo della Repubblica, abbia operato o no una inconcepibile pressione indebita sulla Questura di Milano per favorire una ragazza minorenne in stato di fermo, inducendo le forze di polizia a violare alcune regole. Il premier nega che questo sia avvenuto, e nelle ultime quarantott’ore i tutori dell’ordine hanno rivendicato ripetutamente di aver fatto tutto secondo «prassi» e «procedure». Mercoledì prossimo il ministro dell’Interno riferirà in Parlamento e non ci attendiamo nulla di meno di una risposta esauriente e definitiva.Ma c’è anche un punto di costume, che è anche di costume pubblico. Al di là delle sovrabbondanti cronache degli ultimi giorni, lo ha posto – a suo modo – lo stesso presidente del Consiglio. «Amo la vita, amo le donne – ha detto ieri a margine di un importantissimo vertice internazionale –. Lavoro moltissimo e, ogni tanto, sento il bisogno di una serata distensiva, di una terapia mentale per pulire il cervello... Fa parte della mia personalità e non c’è nessuno che può farmi cambiare uno stile di vita di cui sono convinto». Noi siamo convinti che l’Italia e gli italiani si aspettino da chi siede al vertice delle istituzioni dello Stato la dimostrazione di sentirsi gravato, oltre che di un indubbio e legittimo potere, di stringenti doveri. Sobrietà personale e decoroso rispetto di ciò che si rappresenta sono quelli minimi. E riguardano il linguaggio tanto quanto lo «stile di vita».
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