venerdì 18 marzo 2016
Marco Pantani colpito dalla camorra. Quando a fare paura sono i colletti bianchi
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In fondo la camorra non dovrebbe far paura. A spaventare è l’abbraccio mortale, nauseante, asfissiante che ha stretto e ancora stringe con tante persone “ perbene” della società civile. Nel libro “ Storia dell’Italia mafiosa”, Isaia Sales, scrive: «Se le mafie durano da due secoli, ciò vuol dire che esse non hanno rappresentato un potere alternativo e contrapposto a quello ufficiale, ma un potere relazionato con esso … ». Triste. A  Marcianise, nel Casertano, al procuratore Franco Roberti, gli studenti chiedono se la camorra può essere sconfitta. Roberti: « Si, se lo Stato vuole …».  Leggiamo in queste ore che la camorra, nel lontano 1999, sarebbe stata in grado di cambiare le provette di laboratorio per far risultare il ciclista Marco Pantani, dopato. Il “ Pirata” pagò a caro prezzo questa calunnia. Il caso Pantani è più grave di quanto si possa credere. La camorra può arrivare a tanto? E come? Chi le aprì le porte del laboratorio? Ho avuto la possibilità di incontrare Carmine Schiavone, prima che morisse. Non mi fece nessuna rivelazione eclatante. Mi disse cose già sapute. Ascoltarle, però, dalla sua bocca mi inquietò. Disse che durante gli anni in cui era il cassiere del Clan dei casalesi, nell’ Agro aversano, e non solo, quasi tutte le amministrazioni locali, di qualsiasi colore, elette “ democraticamente”, andavano a trattare con loro. Niente di particolare. Semplice routine. Le “regole” c’erano. I novelli amministratori le conoscevano. Occorreva solo osservarle. Ci si metteva d’ accordo. Percentuali da versare. Gare di appalto da far vincere agli amici. Posti di lavoro da assicurare. Insomma tutto era fatto, per così dire, alla luce del sole. O, meglio, alla luce di un costosissimo lampadario di cristallo di qualche mastodontica villa costruita abusivamente. È il “sistema”. Un sistema inventato, sperimentato, oleato. Un ingranaggio nel quale chi non voleva farne parte o doveva andare via o mettere in conto di poter morire martire. E un martire la diocesi di Aversa lo ha avuto 22 anni or sono, quando don Peppino Diana veniva trucidato nella sua parrocchia a Casal di Principe. Il no alla camorra deve essere netto, chiaro, preciso. Con la camorra non si fanno affari. Non si discute. Non si indugia. Quel no deve essere gridato ad alta voce. Una voce che deve diventare un coro. Tra le cose che mi disse Schiavone: « Andavo personalmente a tenere gli esami ai nostri studenti di medicina … Indossavo il camice, sedevo dietro la cattedra e li interrogavo…». Con gli occhi spalancati chiesi: « E come facevi? Quali domande potevi porre se di medicina non sai niente?». « Che domande vuoi che facessi. Chiedevo come stava suo padre... se suo nonno fosse ancora in vita … e cose del genere…». Sogno o son desto? Ma chi aveva fatto indossare a Schiavone il camice del professore universitario? Pochi mesi fa all’ ospedale di Caserta, si “ scopre” che un parente di Michele Zagaria, senza averne titolo, poteva disporre di un ufficio. Sotto gli occhi di tutti. Inaudito. Ecco il dramma. Non è il camorrista abituato a ottenere tutto con la prepotenza. Il pericolo vero è il complice “ galantuomo”. La persona “perbene” che se ne sta camuffata negli uffici, nelle istituzioni, nel mondo della politica e dell’ imprenditoria. “Tra un camorrista e un colleto bianco coinvolto, preferisco avere a che fare con il camorrista“, ebbe a dire pochi mesi fa  Raffaele Cantone. Il camorrista in fondo ha le spalle più scoperte. È più esposto. Se rimane sganciato non fa paura. Che la camorra facesse affari anche con le scommesse clandestine non è un segreto. Che fosse in grado di arrivare a truccare i test per vincere le sue scommesse è di una gravità inaudita. Chi è l’alchimista che ha manomesso le provette? Chi avrebbe dovuto vegliare perché non accadesse? E adesso? Possiamo continuare a fidarci delle analisi fatte su ciclisti e calciatori? Chi sono nel mondo dello sport i complici della camorra? A queste domande occorre dare risposta. La società deve farsi più severa nell’ individuare, giudicare e condannare coloro che dentro guanti di velluto bianco nascondono mani sporche e puzzolenti. Un requiem per il povero Pantani. E un grande abbraccio alla sua mamma.
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