giovedì 14 aprile 2016
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Caro direttore, il recente pronunciamento di un Comitato di esperti del Consiglio d’Europa in tema di aborto e obiezione di coscienza mi “obbliga” a sottoporle alcune riflessioni. La risposta al ricorso della Cgil (?) sembrerebbe ipotizzare una non meglio specificata «discriminazione» dei medici non obiettori, costretti a un surplus di lavoro dalla presenza di troppi colleghi obiettori. A questo proposito vorrei sottoporle alcune riflessioni. Lavoro nel Servizio sanitario nazionale ormai da venti anni e le posso assicurare che la realtà dei fatti è molto diversa da come qualcuno tenta di rappresentarla. Non ritorno sui dati inoppugnabili che il Ministero della Salute ha evidenziato nella relazione inviata al Parlamento e che testimoniano il diminuito impegno relativo alle interruzioni volontarie di gravidanza (Ivg) dei medici non obiettori negli ultimi due decenni. Vorrei invece sottolineare come le vere discriminazioni siano in realtà altre. Sono quelle dei medici che si presentano ai concorsi ospedalieri o che vorrebbero lavorare nei Consultori per potere applicare in toto la legge 194 (si veda l’art. 2) e ai quali viene chiesta (ovviamente in via informale) la loro posizione in materia di aborto... Le discriminazioni sono quelle che riguardano le gestanti all’inizio della gravidanza, che possono fare un’ecografia senza giorni di attesa se decidono di abortire seguendo un percorso preferenziale, ma devono aspettare settimane o mesi nel servizio pubblico se, al contrario, decidono di tenere il bambino. Le discriminazioni sono quelle dei medici obiettori oggetto di una campagna di stampa che quasi universalmente li dipinge come insensibili ai problemi delle donne, quando nella realtà sono spesso tra i pochi che cercano di ascoltarle e di aiutarle a superare le difficoltà di fronte a una gravidanza inaspettata.  Discriminato infine è anche il concetto di “obiezione di coscienza”, che da pilastro di civiltà qualcuno cerca di trasformare in marchio infamante: forse è su questo che si dovrebbe riflettere di più. Magari iniziando a capire come mai molti medici si dichiarano obiettori solo dopo essere stati assunti, ma nella quotidianità del loro lavoro propongono o favoriscono nelle parole e nei fatti una cultura contro la vita così lontana dal Giuramento di Ippocrate. Mario Campanella Medico Revello (Cn) C aro direttore, mi consenta una domanda inutile: come può il mondo dei media far passare acriticamente l’affermazione che in Italia, per abortire, qualcuno ha percorso 800 Km. Un insulto e una rinuncia all’intelligenza, poiché significa che tra Palermo e Bologna (percorrenza stradale) la distanza è di 896 Km. senza che ci sia una struttura ospedaliera ove si pratica l’aborto! E pensare che solo una manciata di giorni fa anche i “giornaloni” piangevano per la crescente denatalità in Italia! Con grande cordialità. Pietro Luigi Tonelli, Cesena È ben motivata, caro dottor Campanella, la sua denuncia sull’insopportabile capovolgimento della realtà, cioè sull’odioso dileggio e la discriminazione nei confronti dei medici obiettori dell’aborto. E la sua domanda sulla faziosità, caro signor Tonelli, non è affatto inutile. Spero che non inutile sia anche la risposta che mi sento di dare a entrambi, sebbene non mi senta (e non voglia essere) uno di quelli che giudicano con il ditino alzato chi fa il mio stesso lavoro mettendo in circolazione informazioni e opinioni: il nostro è, infatti, un mestiere bello, carico di responsabilità e quasi per definizione 'fallibile' nella spesso impari corsa tra le notizie e il tempo utile per darle ai nostri lettorispettatori- ascoltatori. Per questo evito, quando posso, di commentare le scelte dei colleghi. Ma da un po’ di tempo – in dibattiti pubblici e in private discussioni con cronisti come me – sono costretto a sottolineare, e a documentare, il peso crescente nella costruzione del clima mediatico in cui viviamo delle «veline onnipotenti» emesse dalle centrali informative del «pensiero dominante che tende a farsi unico» (efficacissima definizione di papa Francesco) e del «pressappochismo tendenzioso» coltivato, appunto, da colleghi giornalisti che non sono affatto stupidi e senza strumenti professionali, ma si dimostrano strenuamente allineati al suddetto pensiero dominante. Lo considero anch’io il male oscuro, eppure sempre più evidente, della nuova e vecchia informazione. Basta che una bufala vada nella direzione auspicata e la si fa scorrazzare a piacere, mettendo persino l’amplificatore agli zoccoli. Così fanno più rumore. Il che non cambia la realtà, ma può deformarla. Certo, se si hanno occhi acuti e intelligenti come i suoi, le notizie si possono “leggere” comunque e ovunque con saggio senso critico, arrivando a cogliere subito l’inconsistenza di determinate affermazioni o la contraddittorietà di certe posizioni… Il suo secco calcolo che smonta le iperboli “chilometriche” dei filo-abortisti è, in questo senso, esemplare. Ma è sufficiente essere un po’ sovrappensiero per ritrovarsi intossicati quasi senza accorgersene. La cosa mi allarma e mi dispiace molto. Ma quasi di più il fatto che si tratti di virus contagiosi e, soprattutto, di uno stile nefasto che – per emulazione – rischia di coinvolgere (in qualche caso lo ha già fatto) voci del vasto e articolato cattolicesimo italiano. Anche in casa nostra fioccano polemiche costruite con malizia e furbizia, deformando la realtà. E questo sia nel dibattito con interlocutori esterni sia, ancor più dolorosamente, in certe polemiche intra-ecclesiali. Brutta storia. Sono infatti sempre più consapevole di quanto, nel nostro tempo “liquido”, abbiamo bisogno di solidità e onestà, e di una carità che non è mai un inchino lezioso alle idee altrui, ma un attento e generoso chinarsi sulla Verità, e su ciò che ne è specchio e per noi prova: la verità della vita (e della sofferenza, e della speranza) di chiunque. Lo dico da cronista, che ancora crede non solo nell’utilità astratta del proprio mestiere, ma in tutti coloro che hanno forza, pazienza e lucidità per farlo come si deve. Ricambio con calore il suo cordiale saluto. Marco Tarquinio
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