Siamo già tutti controllati, ma il «braccialetto» ci fa un po' robot
venerdì 2 febbraio 2018

Era l’anno 2000, data già di per sé emblematica, quando il format tv del Grande Fratello faceva il suo debutto in Italia. Ed è da quel giorno che si può datare la fine di una certa idea di privacy e l’ingresso nella stagione in cui farsi riprendere o controllare ha cessato di essere considerata una faccenda inquietante. Archiviata la dimensione spettrale della profezia orwelliana oggi viviamo di fatto in una società in cui siamo tutti più o meno tracciati.

La localizzazione Gps ci rende visibili su centinaia di mappe, nei percorsi in auto, in bici, identificati quando entriamo in un bar o in un ristorante. Persino dei soldati nelle basi militari segrete si arriva a sapere dove stanno facendo jogging. L’informatizzazione dei processi riesce a ricostruire quasi ogni passaggio del nostro lavoro, le telecamere di sorveglianza riescono a filmare ogni nostro passo, i pagamenti elettronici dicono dove siamo stati e per quanto, e via dicendo. E a pochi, nell’era dei social, interessa nascondersi del tutto.

Anche per questo la notizia del braccialetto elettronico che in un futuro prossimo potrebbe rendere più produttivi i magazzinieri di Amazon va colta per quello che è. Le norme sul lavoro impediscono già oggi all’azienda di controllare i dipendenti violandone la privacy (come ha ribadito ieri il Garante), anche se di fatto la tracciabilità dei movimenti di un lavoratore è realtà quotidiana. Forse di uno spedizioniere non si sa in ogni momento dove si trova? Lo stesso software con cui è scritto questo articolo contiene tutte le informazioni per sapere quando e in quanto tempo è stato scritto.

Certo, i dati (per fortuna) non possono essere usati contro il lavoratore, ma è veramente il controllo il problema del braccialetto vibrante di Amazon? O è qualcos’altro? Essendo in campagna elettorale, la politica non ha perso l’occasione per entrare sull’argomento, anche speculandoci un po’, tirando in ballo il Jobs Act o sventolando divieti.

Ma il vero tema è come la tecnologia e la robotizzazione dei processi rischi oggi di portarci a paragonare ormai l’essere umano e la sua efficienza a un robot e alle sue prestazioni, al punto da pensare di poter trasformare un lavoratore in un corpo "teleguidato". Forse un giorno gli umani col braccialetto saranno sostituiti da veri robot. Nel frattempo, sforziamoci di pensare che se non è sbagliato cercare soluzioni che aumentano la produttività sul lavoro, c’è qualcosa che toglie dignità e rispetto alla persona nell’idea di automatizzare i movimenti di un individuo vestendolo da "robot". Ma i margini per far prevalere il confronto e il buon senso sono enormi. Sfruttiamoli. Almeno fino a quando i clic per gli acquisti saranno opera delle persone, e non delle macchine.

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