Benedetto e Francesco, due Papi unica via dell'evangelizzazione
venerdì 6 gennaio 2023

Com’è noto, Benedetto XVI dimostrò in più circostanze una grande devozione nei confronti del fondatore del monachesimo nella Chiesa d’Occidente, san Benedetto da Norcia. Il 9 aprile del 2008, in occasione della tradizionale Udienza generale del mercoledì, disse tra l’altro che: «San Benedetto da Norcia con la sua vita e la sua opera ha esercitato un influsso fondamentale sullo sviluppo della civiltà e della cultura europea». Più avanti precisò che «l’Europa – uscita appena da un secolo profondamente ferito da due guerre mondiali e dopo il crollo delle grandi ideologie rivelatesi come tragiche utopie – è alla ricerca della propria identità. Per creare un’unità nuova e duratura, sono certo importanti gli strumenti politici, economici e giuridici, ma occorre anche suscitare un rinnovamento etico e spirituale che attinga alle radici cristiane del Continente, altrimenti non si può ricostruire l’Europa».

Animato da questo spirito, denunciò la tendenza a negare le radici cristiane dell’Europa, propugnata da quelle «correnti laicistiche e relativistiche» che finiscono «per negare ai cristiani il diritto stesso d’intervenire come tali nel dibattito pubblico» o, comunque, ne “squalificano” il contributo a esso «con l’accusa di voler tutelare ingiustificati privilegi». Questo suo pensiero era incentrato sul fatto che le Chiese di antica tradizione, come quelle europee, che nei secoli avevano profuso tante energie nell’evangelizzazione degli altri continenti, sembrava avessero perso la parresia, vale a dire il coraggio di osare. In particolare, il 25 settembre 2012, rivolgendosi ai presidenti delle Conferenze episcopali d’Europa riuniti nella loro plenaria, il Papa che pochi mesi dopo sarebbe diventato emerito aveva invitato a riflettere «sul perenne compito dell’evangelizzazione con rinnovata urgenza». Sta di fatto che proprio il mese dopo, in occasione del Sinodo dei vescovi sul tema “La Nuova Evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”, egli divenne sempre più consapevole che le debolezze del milieu europeo avevano assunto sempre più valenza planetaria.

Ed è stato proprio il suo successore, papa Francesco, che nella Evangelii gaudium ha definito una strategia d’intervento: la Chiesa deve essere «inclusiva» testimoniando la Misericordia, «in uscita» perché l’andare è la legge della fede e dell’esistenza cristiana, collocandosi «in periferia, dalla parte dei poveri». Se da una parte, dunque, Benedetto XVI era preoccupato per la deriva della cultura europea, l’attuale Papa – venuto «quasi dalla fine del mondo», in senso spaziale, come lui stesso aveva detto la sera della sua elezione – ha un approccio che pone tutte le Chiese sullo stesso piano.

Per analogia questo confronto richiama la differenza tra la regola benedettina e quella francescana. Come ha rilevato con acutezza Antonio Tarallo in un interessante articolo sulla rivista “San Francesco Patrono d’Italia”, «l’unicità delle due regole, anche se potrebbe sembrare scontata, è il cammino di perfezione verso Dio, unica meta e fonte di san Benedetto e san Francesco». Per il resto, «il primo fugge il mondo per ritrovare Dio, il secondo si mette in strada per riportarvelo» nel senso che il carisma dell’uscita è fondamentale per l’Ordine francescano. Anche per quanto concerne il tema della fraternità, due distinte concezioni: il Santo di Norcia nella sua regola prevalentemente si rivolge a un «tu», o a un «voi» in chiave comunitaria; il Santo di Assisi di converso utilizza il plurale «“noi”, chiaro simbolo di fraternità vera e profonda». È evidente che questi due fondatori appartengono a due distinte stagioni storiche: la regola di Benedetto risale al 534 ed è incentrata sul cenobitismo, cioè una vita comunitaria che prevede un tempo per la preghiera e uno per il lavoro e lo studio (Ora et labora); mentre quella del Povero frate di Assisi, detta Bollata, venne approvata il 29 novembre 1223 da papa Onorio III. Considerando che tra gli ultimi due Papi, Benedetto e Francesco, c’è la linea di demarcazione segnata dal Covid e dalla guerra russo-ucraina a cui si aggiunge la persistente crisi politica del multilateralismo e la sempre più drammatica crisi ambientale è il caso di dire con Paolo di Tarso che chi ama identificarsi in «Febo o Apollo», alimentando inutili contrapposizioni, si sbaglia di grosso.

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