giovedì 17 aprile 2014
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Gentile direttore,sono lettore di “Avvenire” da sempre (senz’altro più di 40 anni). Ho in mano il giornale del 13 aprile, Domenica delle Palme, e le segnalo due cose che mi saltano agli occhi. Prima pagina, titolo in alto: “Libano – Fuga già terminata. Dell’Utri arrestato chiesta l’estradizione” (con rimando a pagina 11). Ultima pagina, finestra colorata: «SALVIAMO ASIA – Asia Bibi in carcere da 1.759 giorni perché cristiana». Personalmente, avrei fatto il contrario: Dell’Utri in ultima pagina e Asia Bibi in prima pagina. Anzi di Dell’Utri non avrei proprio messo niente in senso assoluto! Ma chi è questo Dell’Utri, quali sono i suoi meriti per meritare così tanta attenzione? Chissà quanti altri articoli, magari di argomenti molto importanti, non sono stati pubblicati per mancanza di spazio per dare visibilità al signor Dell’Utri.

Walter Barelli, Porlezza (Co)
 
La sua lettera mi fa proprio pensare, gentile signor Barelli. Da tanto tempo ormai, sulle nostre pagine, contiamo a uno a uno i giorni della cupa prigionia della condannata a morte Asia Bibi, cristiana cattolica pachistana, sposa e madre di cinque figli, accusata in forza della famigerata legge sulla «blasfemia». E il contagiorni non è per caso in ultima pagina, con evidenza assoluta, sotto il “Dulcis in fundo” (rubrica che gli amici lettori dimostrano di apprezzare sempre di più), e sopra la “gerenza” (la responsabile firma quotidiana del giornale che mandiamo in edicola e nelle case dei nostri abbonati). Per di più, assai spesso, cioè ogni volta che ce n’è ulteriore motivo, torniamo a scrivere del caso di questa nostra sorella di fede e di umanità, e non manchiamo di commentarlo. L’ultima volta martedì scorso 15 aprile, dopo il quarto cavilloso rinvio del suo processo di appello. Perciò penso e mi chiedo: possibile che chi ci legge non colga questa nostra costante attenzione? Possibile che alcuni non ricordino la raccolta di decine di migliaia di firme che abbiamo promosso per invocare – con rispetto per un grande Paese come il Pakistan e pressante urgenza civile e umanitaria – proprio quella revisione del processo di primo grado che ora è cominciata solo formalmente? Io penso che non sia possibile. E per questo continuo a farmi domande. Soprattutto una: ha davvero senso che un nostro lettore arrivi a pensare che un politico italiano latitante sia per “Avvenire” più importante di una cristiana perseguitata? Beh, anche se qualcuno si stupirà, penso che non sia proprio giusto eppure abbia molto senso. E questo perché sento vicina e apprezzo enormemente, caro e gentile amico, l’incalzante ansia di attenzione, di giustizia e di vicinanza verso tutti coloro che soffrono a causa della fede in Gesù Cristo alla quale lei dà voce e che, in questa porzione occidentale di mondo, tendiamo a dimenticare troppo e troppo spesso. Qualche pressione può sembrare eccessiva, e invece non è mai intensa abbastanza.
Certo, potrei farle notare la forza con cui hanno titolato gli altri giornali italiani sul caso di Marcello Dell’Utri (inseguito dalla giustizia italiana e in vana ricerca di riparo in Libano) facendone il principale argomento di prima pagina, mentre noi – senza nascondere nulla di quella incresciosa vicenda – abbiamo scelto di dare (in solitudine) il massimo rilievo alla crescente “fatica di vivere” dei poveri italiani e di chi si prende cura di loro che sabato era stata denunciata dalla Caritas. Ma, come le ho già detto, mi sta bene il suo rimprovero. Almeno per buona metà. Devo  dirle, infatti, che non abbiamo rinunciato a nulla di importante e urgente per «dare visibilità al signor Dell’Utri» (che, stia pur certo, ne avrebbe fatto volentieri a meno…). Torni di nuovo a sfogliare il giornale di domenica scorsa e magari anche quelli dei giorni precedenti e seguenti. E se ne renderà facilmente conto. “Avvenire” racconta ciò che gli altri raccontano. E in più scrive – senza confini – di qualcosa e di tanti qualcuno cui, altrove, si stenta a riconoscere cittadinanza mediatica. È il “mestiere” che il giornale nazionale d’ispirazione cattolica si è dato da più di 45 anni e che noi sappiamo di dover onorare. Mi creda, faccio questo lavoro da un po’ e mai ho conosciuto nel mio stare in redazione – assieme a tanti bravi colleghi – un dovere più sentito, esigente e felice.

 

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