martedì 15 febbraio 2011
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Chi c’è dentro i barconi che sono ar­rivati e verosimilmente continue­ranno ad arrivare a Lampedusa? Ci so­no anzitutto persone, con il carico di tutta la loro ineliminabile dignità. Per­sone in fuga dal caos che regna in Tu­nisia e in cerca di miglior fortuna pri­ma di tutto nel nostro Paese, l’appro­do geograficamente più vicino, ma che probabilmente hanno in animo di tro­vare una sistemazione definitiva anche altrove, per esempio in Francia. Perso­ne consapevoli di correre il rischio del­la vita in quel tratto di Mediterraneo di­venuto da tempo un cimitero marino, come le notizie arrivate in queste ore tragicamente confermano. Per questo, l’approccio anzitutto umanitario che le autorità italiane stanno adottando in queste ore – e che cerca di coniuga­re accoglienza e legalità – appare il più ragionevole e lungimirante.Passando dall’enunciazione dei prin­cipi alla loro attuazione operativa, è e­vidente che ci vorrà del tempo per ve­rificare chi ha diritto a ricevere una pro­tezione umanitaria (che dovrà comun­que avere carattere temporaneo, per e­vitare un effetto di richiamo già speri­mentato in altri frangenti), chi può ot­tenere lo status di rifugiati, quanti so­no evasi dalle patrie galere, quanti so­no stati infiltrati dalle reti del terrorismo internazionale. A scanso di equivoci, è bene ribadire che le mele marce van­no al più presto individuate ed elimi­nate, ma la loro presenza non può di­ventare un alibi per mettere in atto re­spingimenti collettivi o per operazioni di rimpatrio indiscriminato che con­figgono con il diritto internazionale e con la stessa tradizione giuridica ita­liana. Si valuti caso per caso, dunque, rispettando la dignità dei singoli e mai dimenticando che stiamo parlando di persone e non di numeri.Non si può peraltro sottovalutare che l’Italia si trova in una condizione par­ticolarmente esposta soprattutto a mo­tivo della sua dislocazione geopolitica, ma non è in condizione – come non lo sarebbe nessun altro Stato – di affron­tare un flusso migratorio epocale col­legato al processo di destabilizzazione che coinvolge tutto il Nordafrica.Proprio per questo, la Ue deve muo­versi con il tempismo e con i mezzi che questa emergenza (per molti aspetti i­nedita) richiede, uscendo dalla latitan­za che l’ha fin qui contraddistinta. In at­tesa di interventi significativi da parte della Commissione sul piano econo­mico e logistico – sollecitati ieri per l’en­nesima volta dal nostro governo –, pos­siamo intanto salutare positivamente la decisione dell’Europarlamento di af­frontare nella sua plenaria di oggi po­meriggio l’emergenza sbarchi.Infine, per avere un quadro completo dello scenario che si va delineando, è bene allargare lo sguardo e tenere pre­sente che la Tunisia rappresenta il trampolino per le moltitudini che vo­gliono lasciarsi alle spalle i tanti 'vul­cani' che in Nordafrica stanno erut­tando lapilli sociali e politici. In pochi giorni sono arrivati più di cinquemila tunisini in fuga dal caos del dopo-Ben Ali, altri certamente li seguiranno. Non solo dalla Tunisia: anche dall’Egitto che dopo l’euforia della ribellione al farao­ne Mubarak fa i conti con un potere (per quanto tempo transitorio?) che ha sospeso la Costituzione e sciolto il Par­lamento; anche dall’Algeria dove si pro­testa contro fame e carovita e si chiede più libertà e democrazia. E qualcuno prevede anche da altre regioni… Den­tro l’onda lunga che dal Nordafrica ar­riva in Italia convivono, come si vede, tante e diverse componenti. E l’effetto domino scatenatosi sulla sponda me­ridionale del Mediterraneo investirà sempre di più massicciamente anche quella settentrionale. L’Italia non può sottrarsi alle sue responsabilità, che in questo frangente sono soprattutto u­manitarie, l’Europa deve battere al più presto un colpo per condividere que­sta responsabilità.
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