mercoledì 30 gennaio 2013
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Il sistema economico-finanziario modiale può essere visto come un edificio a più piani. All’attico si è da tempo rotta un’importante tubatura (la finanza internazionale) che produce frequenti allagamenti ai piani inferiori. Purtroppo però chi sta sotto (tra l’altro, la nostra classe politica con le sue le varie agende) litiga solo su chi e come deve "passare lo straccio" al piano terra senza preoccuparsi di come riparare il tubo. È vero che si tratta di un problema condominiale (ovvero internazionale), ma qualcuno dovrà pure andare alla rinunione di condominio con l’idea risolvere il problema serio. Invece gli ardori liberisti delle varie agende politiche si spengono misteriosamente di fronte ai problemi di concentrazione del mercato dei derivati e del sistema finanziario internazionale. I due principali rapporti indipendenti sulla questione, commissionati uno dalla Gran Bretagna (rapporto Vickers) e l’altro dall’Unione Europea (rapporto Liikanen), hanno da tempo messo in evidenza il problema dei problemi: la commistione tra attività di credito tradizionale e attività di trading in proprio delle banche "troppo grandi per fallire", molte delle quali con attivi più grandi dei Paesi in cui erano basate in origine. Questa commistione è un vero e proprio ricatto alle istituzioni, allenta i freni inibitori dei gruppi di comando e spinge ad assumere rischi incontrollati nelle pratiche speculative. Il problema è esacerbato dalla struttura degli incentivi per trader e manager, che privatizzano i profitti delle loro scelte rischiose e socializzano le perdite uscendo con liquidazioni d’oro anche quando fanno fallire le loro società. La commistione tra attività speculativa in proprio e attività  bancaria classica trasforma i depositanti in ostaggi e impone, di fatto, alle istituzioni il salvataggio. Le banche che rischiano di fallire per le loro operazioni spericolate – l’ultimo esempio di tali operazioni è  quello del Monte dei Paschi di Siena – sanno che otterranno il salvataggio pubblico per la presenza a bordo dei depositanti. L’ex governatore della Federal Reserve statunitense, Paul Volcker ha da tempo proposto il divieto di trading proprietario e l’adozione di regole molto più stringenti sulla gestione del portafoglio titoli delle banche commerciali (la cosiddetta Volcker rule ripresa in parte tra le proposte delle due commissioni indipendenti sopra citate). Il principio è semplice. Dietro la scritta "banca" non deve nascondersi un casinò o un hedge fund ingannando i depositanti. Per anni una cattiva vulgata scientifica ha raccontato la fandonia dei mercati finanziari che si autoregolano, e l’esigenza delle banche di essere sempre più grandi ponendo come unica finalità delle scelte di regolamentazione quelle dell’efficienza. È un po’ come se per la circolazione stradale abolissimo  i semafori e i limiti di velocità considerando come unico obiettivo quello di arrivare nel minor tempo possibile a destinazione. Anche su questo il rapporto Liikanen e i dati degli ultimi decenni  sono impietosi. Gli istituti di credito sono troppo grandi (la dimensione ottima per efficienza si ferma molto prima dei livelli oggi raggiunti, il resto è solo desiderio di potere), le banche medio-piccole e non massimizzatrici di profitti fanno più credito e depositi e hanno meno sofferenze contribuendo di più al bene del territorio. E, aggiungiamo noi, è molto difficile che una banca che si pone l’obiettivo di massimizzare il profitto faccia meglio l’interesse di tutti coloro che non sono azionisti (depositanti, comunità locali, lavoratori) di istituti che non seguono questo principio (banche cooperative ed etiche). Qui non si tratta di finanza "buona" o "cattiva" né di demonizzare gli strumenti finanziari. Si tratta di capire quante risorse stiamo sprecando quando invece di investire un euro per capitalizzare un fondo di microcredito (potenzialmente in grado di crearne molti di più di economia reale) lo giochiamo nella slot machine del trading ad alta frequenza. Vogliamo bene alle banche e per questo desideriamo salvarle dall’irresistibile tentazione di autodistruzione alla quale non riescono a rinunciare per un problema di autocontrollo, di abitudini dure a morire e di meccanismi di incentivo perversi al loro interno. È questa la sfida più importante di cui, tutti, ci dovremmo occupare. Ne va della sopravvivenza delle nostre economie, della salute del bilancio pubblico e di quella di chi all’interno di queste organizzazioni svolge il proprio lavoro. (@leonardobecchet)
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