Arrivi e richieste di asilo: i veri nodi
martedì 11 maggio 2021

Basta poco per far ripartire le sirene dell’allarme invasione: è sufficiente che i trafficanti libici ricomincino a giocare sporco e, con la bella stagione, si conti qualche centinaio di arrivi ravvicinati a Lampedusa, qualche migliaio dall’inizio dell’anno. Basta poco per parlare di un sistema ricettivo 'al collasso' sulla piccola isola al largo della Sicilia: è sufficiente non intercettare al largo i natanti per sbarcare altrove profughi e migranti, non organizzare rapidi trasferimenti dall’hotspot di Lampedusa verso altri centri di accoglienza, non dotarsi di strutture adeguate alla gestione di un fenomeno che non può continuare a essere trattato come un’emergenza ricorrente.

Basta poco, in un Paese ansioso per il dopo-Covid, per contrapporre gli italiani poveri ai richiedenti asilo in cerca di accoglienza, come se ciò che viene dato agli uni venisse tolto agli altri, in un gioco a somma zero. Basta poco per ridare fiato alla retorica dell’Europa matrigna: basta non guardare i dati complessivi, accontentarsi di qualche fotogramma sugli ultimi sbarchi, focalizzare l’attenzione sui soli flussi marittimi del Mediterraneo centrale, ignorare gli altri canali d’ingresso.

In tutto questo si rinviene una costante, ricorrente ma ammaliante, come un disco già cento volte ascoltato. I flussi di richiedenti asilo dal mare rimangono una ghiotta occasione propagandistica per una retorica sovranista a corto di argomenti, dopo la svolta solidaristica della Ue. Consentono di assemblare ansie legate all’immigrazione, pseudosolidarietà con gli italiani in difficoltà, polemica anti-europea, e ora anche paura di nuovi contagi. Mentre l’Italia si apre a rinnovati flussi turistici e alla ripresa degli scambi internazionali, a quanto sembra gli unici residui portatori di virus sono i poveri provenienti dall’Africa, malgrado gli scrupolosi controlli all’arrivo.

I dati consentono di fornire un quadro un po’ più preciso della situazione e della posizione dell’Italia nella mappa europea dell’accoglienza dei rifugiati. Secondo l’Unhcr, a fine 2019 il nostro Paese accoglieva 3,4 tra rifugiati e richiedenti asilo ogni 1.000 abitanti, contro circa 25 della Svezia, 18 di Malta, 15 dell’Austria, 14 della Germania, 6 di Danimarca, Grecia e Francia. Nel 2020 l’Italia ha ricevuto poco più di 21mila richieste d’asilo, il 39% in meno rispetto al 2019. Si trova al quinto posto nella Ue, dopo Germania (102mila), Spagna (86mila) , Francia (82mila), oltre alla Grecia, che ha visto comunque dimezzare gli arrivi, attestandosi a quota 38mila. Il fatto è che noi 'vediamo' solo gli sbarchi sulle nostre coste, mentre altri flussi, come quello crescente di rifugiati dal Venezuela, ci riguardano talmente poco che riusciamo a ignorarli.

L’ idea di un’Italia lasciata sola da un’Unione Europea sorda ed egoista è stata talmente ripetuta da diventare scontata entro i nostri confini, ma passate le Alpi si sgonfia come un pallone fallato.

Quanto alla cosiddetta ripresa dell’invasione, alle richieste di blocco navale, a espressioni come 'non possiamo accogliere tutta l’Africa', andrebbe ricordato che al 10 maggio gli sbarcati sono stati 12.894 (Ministero dell’Interno): il triplo dell’anno scorso alla stessa data (4.184), ma una cifra comunque lontanissima da quelle raggiunte negli anni di picco degli arrivi via mare, in particolare dai 181.436 del 2016. Non andrebbe mai dimenticato che anche allora l’85% circa dei rifugiati internazionali erano accolti in Paesi in via di sviluppo, e noi ci occupavamo di una modesta percentuale dei profughi in cerca di scampo nel mondo.

Occorrono, certo, nuove politiche per l’asilo, così come il rafforzamento dei corridoi umanitari, la libertà di scelta per chi chiede asilo su dove insediarsi, la possibilità di presentare domanda di accoglienza in Europa già nei Paesi di transito, un programma generoso di rimpatri volontari assistiti. Ma di certo la retorica dell’invasione immaginaria non porterà soluzioni umane ed efficaci.

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