sabato 3 novembre 2012
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​Per essere un appuntamento che, secondo l’immaginario occidentale, ha un copione fissato, l’imminente Congresso nazionale del Partito comunista cinese (Pcc) si annuncia come l’ultimo atto di un thriller a puntate. Si è ingenuamente portati a pensare che l’appuntamento che sta per aprirsi l’8 novembre sia semplicemente la ratifica di decisioni già prese: una vuota formalità, una passerella di leader già incoronati, in un tripudio di slogan stantii. Niente di più lontano dal vero.Il Congresso del Partito comunista cinese è un evento assai più complesso e non è esagerato definirlo il redde rationem delle tensioni che agitano le stanze del potere da mesi, nonché il "laboratorio" dal quale scaturiscono le direttrici del percorso politico che la grande potenza asiatica intraprenderà negli anni a venire.La vigilia delle assise è stata a dir poco movimentata. Nei mesi scorsi ha tenuto banco la vicenda di Bo Xilai, "ras" di Chongqing, uomo di punta della fazione filo-maoista. Coinvolto nello scandalo legato all’omicidio dell’uomo d’affari britannico Neil Heywood, Bo è stato costretto a dimettersi, sospeso dal Politburo del partito e, solo pochi giorni fa, rimosso anche dall’incarico di deputato all’Assemblea nazionale del popolo; ora potrà essere processato e c’è chi prevede una punizione esemplare.Molto più tranquillo sembrerebbe – ma il condizionale è d’obbligo – l’avvicendamento dei leader. Da tempo, infatti, il non ancora sessantenne Xi Jinping è additato a successore di Hu Jintao alla presidenza della Repubblica e alla segreteria generale del Pcc, che si è definitivamente guadagnato il favore dell’opinione pubblica, oltre che dell’establishment, come regista delle spettacolari Olimpiadi del 2008. A succedere a Wen Jiabao come primo ministro, le previsioni indicano Li Keqiang, mentre Wang Yang dovrebbe essere nominato segretario della Commissione centrale per l’Ispezione disciplinare. L’attuale segretario del partito del Guangdong è colui che, l’anno scorso, affrontò con successo, nella linea della mediazione, le proteste dei contadini nel villaggio di Wukan. Sta di fatto che la lotta per le poltrone non ancora assegnate è ancora aperta. E il clima, a Pechino, si fa di ora in ora più elettrico. Non si spiega altrimenti la serie di provvedimenti – al limite del paranoico – che sono stato adottati per garantire la serenità dei lavori e la sicurezza dei partecipanti.Ad arroventare gli ultimi giorni di pre-Congresso è stata l’inchiesta del New York Times che ha ricostruito l’incredibile rete interessi economici dei famigliari di Wen Jiabao. Uno choc per il premier uscente, che si era conquistato il favore popolare anche per le sue critiche contro i politici corrotti.Al di là delle beghe interne, è la portata delle sfide all’orizzonte il vero motivo di interesse del prossimo Congresso. La crisi economica tocca anche la Cina, sia pure in misura abissalmente diversa da quanto accade in Occidente. Ma sono le tensioni sociali irrisolte a costituire una miccia perennemente accesa: lo squilibrio tra zone ricche e povere del Paese, la piaga della corruzione, la revisione della legge del "figlio unico", ormai contestata anche "in alto", gli spazi di libertà chiesti sempre più esplicitamente (vedi l’appello del neo-Premio Nobel Mo Yan a favore del dissidente Liu Xiaobo).«La Cina continuerà lentamente il suo cammino nel segno del pragmatismo, come recita il detto "attraversare il fiume cercando le pietre su cui posare i piedi"», ha scritto un acuto osservatore come padre Sergio Ticozzi, missionario a Hong Kong. La speranza è che questa "lunga marcia" porti finalmente alla "quinta modernizzazione", la più importante, nel segno della libertà e della democrazia.
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