giovedì 11 gennaio 2024
All'Irccs neurologico “Besta” di Milano una sperimentazione che può aprire nuovi scenari. Con l'appoggio della Associazione Sla statunitense e in collaborazione con l'azienda InFlectis BioScience
Il gruppo di ricerca sulla Sla al "Besta". Da sinistra: Lauria Pinter, Marcuzzo, Consonni, Dalla Bella, Riva

Il gruppo di ricerca sulla Sla al "Besta". Da sinistra: Lauria Pinter, Marcuzzo, Consonni, Dalla Bella, Riva

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Uno studio clinico su 50 pazienti affetti da una particolare forma di Sclerosi laterale amiotrofica (Sla) potrebbe aprire nuove prospettive per rallentare la progressione di questa rara, quanto terribile, malattia neurodegenerativa. E anche indicare la strada per nuove sperimentazioni cliniche con maggiori possibilità di successo.

Lo studio è “figlio” di una precedente ricerca svolta all’Irccs neurologico “Carlo Besta” di Milano, e ha ottenuto un finanziamento di 943mila dollari dalla Associazione Sla statunitense, per sostenere il reclutamento dei pazienti. «Oltre a verificare l’efficacia di un farmaco – chiarisce Giuseppe Lauria Pinter, direttore scientifico dell’Irccs Besta – vorremmo favorire il passaggio a una classificazione biologica della Sla, che permetterebbe di migliorare anche le future ricerche».

«La Sla è una malattia rara – puntualizza Lauria Pinter – determinata da cause diverse e non chiare. Ma da sempre c’è una distinzione tra una forma bulbare della malattia, più grave e che conduce a morte il paziente in 3-5 anni, e una forma spinale, che può durare anche 10-15 anni».

Diverse infatti sono le manifestazioni cliniche della Sla: «La forma bulbare – continua Lauria – è caratterizzata dalla degenerazione iniziale delle cellule motorie che raggiungono i muscoli che servono per parlare, deglutire e i muscoli facciali. Mentre i neuroni motori che raggiungono i muscoli delle gambe e delle braccia sono preservati per lunghissimo tempo. A differenza della forma spinale, che colpisce subito i muscoli degli arti».

«Anni fa – racconta Lauria – ottenemmo un finanziamento da AriSla, la Fondazione italiana di ricerca per la Sla, per testare un vecchio antipertensivo, il guanabenz, di cui avevamo trovato evidenza in letteratura di una potenziale efficacia in vitro su un accumulo di proteine nella cellula tipico della Sla». L’esito fu promettente: «Confrontando il guanabenz e il placebo (oltre al riluzolo per entrambi i gruppi) emerse che solo i pazienti con forma bulbare della Sla ottennero un arresto della progressione di malattia a 6 mesi».

Lo studio fu pubblicato sulla rivista Brain e suscitò «l’interesse della azienda farmaceutica InFlectis BioScience, proprietaria di un derivato sintetico del guanabenz, privo della componente antipertensiva». Con l’azienda francese «abbiamo ora disegnato – continua Lauria – uno studio che coinvolge 16 centri, sei italiani e dieci francesi, con l’obiettivo di confermare se questo farmaco (in sigla Ifb-088), sempre più riluzolo, è in grado di rallentare il decorso della Sla nei pazienti con esordio bulbare».

I primi risultati potrebbero essere disponibili entro la fine del 2024. «Al Besta abbiamo un ottimo centro di ricerca sulla Sla – sottolinea Lauria – molto impegnato in ricerche precliniche e cliniche: in particolare i neurologi Eleonora Dalla Bella e Nilo Riva, la neuropsicologa Monica Consonni, la neurobiologa Stefania Marcuzzo. Se si dimostrerà che nella forma bulbare della Sla questo farmaco è in grado di rallentare il decorso della malattia, si potranno disegnare sperimentazioni cliniche più mirate. E verificare se i precedenti studi sono falliti per la disomogeneità del campione di pazienti studiato».

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