mercoledì 23 giugno 2010
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Sarebbe banale ridurre il tutto, come in realtà è già stato detto, al fatto che Stanley McChrystal sia un «generale chiacchierone». Certo l’infortunio delle sue taglienti e irridenti dichiarazioni alla rivista "Rolling Stone" è serio; se non lui, almeno i suoi consiglieri avrebbero dovuto essere maggiormente cauti e meno ingenui. E le dimissioni a cui è stato costretto lo dimostrano. Ma dietro alle critiche al presidente Obama e al suo staff vi è qualcosa di più grave, che travalica i confini delle dispute fra politici e militari a Washington per investire tutta l’Alleanza atlantica impegnata nello sforzo quasi decennale di stabilizzazione del martoriato Afghanistan.Fin dal suo arrivo a Kabul (come capo di Isaf, la missione militare della Nato) nel giugno del 2009, il generale a quattro stelle McChrystal aveva messo in difficoltà i più ovattati ambienti diplomatici e politici con discorsi fin troppo realistici. Troppo a lungo in Occidente ci si era rifiutati di prendere atto del progressivo peggioramento della situazione nel Paese: al contrario, il nuovo comandante aveva subito parlato del rischio di «perdere la guerra». Irritando molti dei suoi sottoposti, aveva detto che la Nato «non era in Afghanistan per uccidere taleban» o proteggere capi politici e tribali corrotti, ma che l’obiettivo era quello di stabilizzare il Paese, dando sicurezza ai civili afgani.Partendo da queste premesse, McChrystal aveva elaborato una nuova strategia per pacificare la nazione e arrestare quel senso di stanchezza e inutilità degli sforzi che minava l’azione della comunità internazionale. Aveva imposto la riduzione dei bombardamenti aerei, limitazioni molto nette alle regole d’ingaggio (i taleban non armati vanno trattati come civili, non come nemici) e richiesto un aumento temporaneo, ma consistente, delle truppe sul terreno per ricacciare i taleban da molte province, restituendo autorità e forza al governo nazionale.Una strategia che può convincere o meno, ma molto chiara; come chiari sono sempre stati i messaggi di McChrystal su cosa dovesse essere fatto e cosa no. Arrivata nella capitale statunitense, la richiesta di rinforzi del generale si è impantanata per mesi, fra i dubbi di Obama, le preoccupazioni dei parlamentari, le furbizie di funzionari e diplomatici che volevano tutelarsi evitando posizioni nette. In più è emersa l’ostilità del vicepresidente Biden – bersaglio non a caso del sarcasmo più corrosivo nell’intervista costata il comando al generale – che vagheggia l’uso della tecnologia per vincere la guerra. Un vecchio sogno, già fallito in Iraq, dei politici statunitensi. Ahimè, per stabilizzare l’Afghanistan ci vogliono soldati, tempo, fatica. E rischi, rischi sanguinosi. Discorsi sempre meno popolari in Occidente, non solo a livello di pubblica opinione, ma anche fra analisti e politici.Di fatto, il vero scontro è fra chi crede che sia ancora possibile stabilizzare la situazione sul campo e permettere una pacificazione vera e sostenibile e chi ritiene che la guerra sia ormai persa. Per questi ultimi, meglio l’illusione che Karzai sia in grado di governare senza il sostegno delle truppe internazionali, così da favorire un accordo con i taleban meno ideologizzati (magari pagando) e attuare il ritiro delle proprie truppe il prima possibile. Non che al comando Isaf di Kabul non si punti sull’accordo con l’«insorgenza». Ma lo si immaginava da una posizione di forza, dopo aver riconquistato province cruciali, prima fra tutte l’area di Kandahar. Una nuova offensiva nella regione è stata invece bloccata per favorire la politica di pacificazione del presidente Karzai, che non ha molti motivi per amare un generale fin troppo esplicito sulla corruzione e l’ambiguità del governo centrale.Ora, dopo le scuse pubbliche e la ritrattazione di McChrystal, le forche caudine di una convocazione immediata a Washington e il farsi da parte: un colpo molto duro per l’azione della Nato. Che ha perso un comandante ruvido ma sincero e rischia di ritrovarsi con qualcuno che agisce pensando a ciò che diranno di lui nel ricordare il conflitto afghano.
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