sabato 26 giugno 2010
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«Almeno cinque civili, tra cui due bambine di sette e otto anni, sono morti in un attacco aereo Nato in Afghanistan. Il bombardamento, che ha preso di mira la roccaforte talebana di Musa Khel, è  avvenuto nella provincia di Khost, nella zona orientale dell’Afghanistan al confine con il Pakistan». Questa notiziola, apparsa sui giornali sabato 19 giugno, è volata via come una di quelle farfalline bianche che si posano solo per un attimo su un fiore e non si fa neppure in tempo ad osservarle. Ma non tutti hanno la possibilità di leggere o ascoltare la notizia, giacché non tutti leggono i giornali, e non tutti (o nessuno?) i telegiornali la riferiscono. Del resto, che importanza possono avere i corpi straziati di due bambine afghane, che in fondo (diciamo la verità) per noi occidentali valgono lievemente meno di due bambine americane o europee? Allora bisognerebbe stamparla su un volantino la notiziola, magari con le foto delle bimbe massacrate, e dispensarla alle gente alla quale non arriverà mai, con un breve commento: «Ecco il risultato della operazione di pace che gli eroi americani stanno facendo in Afghanistan, aiutati dagli eroi di altre nazioni (l’unione fa la forza e tranquillizza le coscienze), la nostra compresa».

Veronica Tussi

Tutto vero, cara signora Tussi, tutto tragicamente vero e incompleto. Perché l’altra faccia di quel lungo e feroce conflitto è un bimbo di 7 anni impiccato come «spia» dei taleban o sono le bambine (e maestre) perseguitate (e bombardate) dai fondamentalisti perché la scuola «non è cosa per donne». Noi di Avvenire le notizie, come sa, le diamo tutte. Consideriamo con allarme ogni oltraggio alla pace nella giustizia e nelle verità. E guardiamo a ogni sofferenza e speranza. Sappiamo che ci riguarda.
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