Accanto a chi emigra (l'altro punto di vista)
venerdì 2 febbraio 2018

Il dramma dei flussi migratori dall’Africa all’Europa non ha bisogno di ulteriori parole per essere evidenziato, oltre a quanto è sotto i nostri occhi da anni, anche se in maniera sussultoria e a periodi alterni, in collegamento con le condizioni che fanno da sfondo alle partenze via mare e ai loro esiti nel Mediterraneo. Lo sdegno e l’apprensione per le condizioni drammaticamente subumane dell’esodo, l’alta mortalità dei migranti durante il viaggio, il mancato rispetto dei più basilari livelli di dignità e civiltà cui migliaia di esseri umani sono sottoposti sono evidenti e diffusi ben più di tanti pressanti allarmi scriteriati. E relativamente ricco è ad oggi il patrimonio di informazioni e conoscenze di tipo statistico e macroeconomico sulle dimensioni del fenomeno e sulle strategie di soccorso, nonché sui problemi della prima e seconda accoglienza. Il tutto, però, appare decisamente centrato sul punto di vista dei Paesi di arrivo, e invece largamente sfocato e confuso rispetto alla realtà dei Paesi di partenza e al punto di vista di chi parte. A oggi, nulla o quasi nulla è stato fatto in termini di comprensione approfondita del background culturale e sociale di provenienza dei migranti dall’Africa, del loro patrimonio conoscitivo, psicologico ed etico, e in generale della molteplicità di fattori sociali che fanno da contorno alla esperienza di chi decide di mettersi in viaggio, in altre parole di tutto ciò che configura il quadro delle motivazioni all’emigrazione, e soprattutto quello delle aspettative rispetto al luogo di destinazione.

Alcune importanti eccezioni, promosse dall’Italia attraverso la sua Agenzia di cooperazione, forniscono qualche spunto sul quale occorrerebbe lavorare seriamente. Uno studio su alcuni villaggi senegalesi, ad esempio, ha messo in evidenza il peso dei fattori di tipo antropologico e psicologico sulle aspettative e le decisioni di chi parte. In molti casi il migrante è visto come un eroe della modernità, che 'rende onore alla propria famiglia', ma che subisce un processo di stigmatizzazione e disprezzo nel caso in cui non riesca a inviare a casa rimesse monetarie sufficienti a mantenere la famiglia di origine, e ancor più nel caso decida di tornare indietro. Soprattutto lo studio mette in evidenza come alcune recenti politiche di severità nel rilascio dei visti, oltre all’azione intensa di organizzazioni non profit, religiose e laiche, che operano sul campo con numerosi progetti infrastrutturali (scuole, luoghi di culto, dispensari, ecc.) e di investimento e sviluppo, specie in agricoltura, non riescono a scalfire la pressione esercitata dalla povertà e dalla assenza di politiche pubbliche di sostegno. Accanto a queste sparute eccezioni di tipo operativo, non mancano analisi di tutto rispetto, specie a cura degli organismi internazionali, sugli interventi che sarebbe necessario mettere in campo nei Paesi di origine per contrastare i fattori scatenanti di quelle che potremmo chiamare le 'migrazioni per disperazione': istruzione, formazione, promozione di attività produttive locali. E anche preparazione alla migrazione: informazione, circolarità, rientri programmati, e protezione dei più deboli e in particolare dei minori. La gravità della situazione degli arrivi, ed ora ancor più quella delle condizioni disumane con cui vengono trattati e in buona parte detenuti i migranti africani che si accalcano sulle coste meridionali del Mediterraneo, impone che si proceda a moltiplicare gli sforzi degli interventi nei Paesi di provenienza, dedicando a ciò maggiori investimenti. Per questo è decisivo che l’ottica con cui si guarda al problema non sia un’ottica unilaterale dal punto di vista dei Paesi ricchi, ma diventi sempre più un’ottica centrata sulle condizioni sociali, i valori, le aspettative, le dinamiche comunitarie di chi parte e del suo gruppo sociale di appartenenza.

La analisi degli aspetti socio culturali ed etici che fanno da sfondo ai flussi che dall’Africa si dipartono con destinazione Europa deve diventare un campo importante di lavoro. Gli approcci, le visioni e le politiche integrate, che superino i settorialismi e i compartimenti stagno, devono diventare la regola.

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