sabato 17 settembre 2016
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Caro direttore,  sono passati quarant’anni da quando, l’11 agosto del 1976, una martellante campagna riuscì finalmente a convincere politici e opinione pubblica che l’unica risposta possibile alla fuoriuscita di diossina dall’Icmesa di Seveso era quella di permettere di abortire alle donne che erano state convinte del rischio altissimo di generare 'mostri'. L’Italia all’epoca non aveva ancora una legislazione permissiva e per autorizzare gli aborti di Seveso si dovette forzare la sentenza n. 27 della Corte costituzionale del 1975, con la quale era stato parzialmente abrogato l’art. 546 del codice penale, depenalizzando l’aborto «in caso di danno grave, medicalmente accertato e non altrimenti evitabile per la vita o la salute della madre». La 194 del 1978 fu costruita più tardi su quella forzatura, invocata a furor di popolo per le donne di Seveso. Da allora molte cose sono accadute. L’aborto è diventato nei fatti un diritto individuale. La organizzazione mondiale della sanità lo include nel pacchetto della salute riproduttiva. Si esercitano pressioni sui Paesi recalcitranti alla sua liberalizzazione. È notizia di questi giorni la richiesta al Segretario generale dell’Onu da parte di oltre 400 organizzazioni, affinché sia introdotta una giornata internazionale denominata «safe abortion day». Malgrado tutto questo c’è chi si ostina a resistere alle pressione, soprattutto in America Latina. Era il caso dell’Argentina nell’epoca pre-Kirchner, era il caso del Brasile, è ancora il caso del Costarica. In molti Paesi dell’area, per quanto legale, l’accesso all’interruzione di gravidanza rimane comunque ancora molto restrittivo, tutt’altro che un diritto senza limiti. A far cadere le ultime resistenze ci ha pensato quest’anno un piccolo virus diffuso dalle zanzare, sconosciuto ai più fino a oggi, il cui nome, Zika, evoca quello di un calciatore carioca e che proprio in Brasile ha generato il primo allarme di un possibile legame tra infezione in gravidanza e nascita di bambini affetti da microcefalia.  Invece di preoccuparsi di prevenire le infezioni, legate alla povertà e all’insalubrità dei territori, promuovendo le condizioni di salute delle popolazioni, l’Oms risponde all’allarme epidemiologico lanciato all’inizio di febbraio con la richiesta di «consentire aborto», benché i casi di microcefalia fossero tutti da dimostrare e senza che alcun nesso di causalità fosse stato accertato. Nel promuovere la soluzione abortiva si distingue l’Alto commissario delle nazioni unite per i diritti umani, Zeid Ra’ad al-Hussein, che in un comunicato stampa traccia la rotta: «Bisogna consentire, nei Paesi colpiti da Zika, l’aborto e la contraccezione», chiarendo bene che «le leggi e le politiche che limitano l’accesso a questi servizi dovrebbero essere urgentemente riesaminate in conformità con i diritti umani, al fine di garantire, in pratica, il diritto alla salute per tutti». Il disegno, neanche tanto mascherato, si rende così palese: in nome dei diritti umani settori delle Nazioni Unite negano il diritto alla vita dei nascituri, colpevoli di venire al mondo (forse) con un ritardo mentale dovuto alla microcefalia. Le dimensioni del flavirus crescono dunque a dismisura e Zika si trasforma in cavallo, il cavallo di Troia per la liberalizzazione dell’aborto in America Latina. Inutile dire che Planned Parenthood e l’industria dell’aborto sono subito saliti in sella al cavallo, per offrire i loro servizi a tutte le donne con infezione da Zika virus accertata o anche solo sospetta. Del resto, il New England Journal of Medicine (Nejm), una delle più prestigiose riviste scientifiche del mondo, aveva avallato il sospetto di un legame causale tra Zika e la microcefalia, seppur ammettendo che erano necessarie verifiche. Vale la pena ricordare che, quando ormai in Italia la diga all’aborto di Stato aveva ormai ceduto, le autopsie effettuate sui feti abortiti a Seveso non evidenziarono alcuna malformazione imputabile alla diossina. Qualcosa di analogo accade ora per l’America Latina. Nello stesso 'Nejm', sono stati ora pubblicati i risultati di una vasta indagine, condotta su quasi 12mila casi di infezione da Zika virus in gestanti colombiane. Nessuna di esse ha dato alla luce bambini microcefalici, mentre i 4 casi rilevati in donne senza infezione sono in linea con le abituali attese e non con il picco che ci si sarebbe potuto attendere se Zika fosse stata la causa della malformazione. Gli autori dello studio concludono il loro articolo affermando che «i dati preliminari di sorveglianza in Colombia suggeriscono che l’infezione materna con virus Zika durante il terzo trimestre di gravidanza non è legata ad anomalie strutturali nel feto». Alcuni scienziati credono che i casi di microcefalia, più che al virus, possano essere attribuibili al piriproxifene, un pesticida usato per debellare le zanzare distruggendone le larve, versato poco tempo prima che fosse rilevato il cluster di microcefalie nell’acquedotto di Pernambuco, la città brasiliana al centro dell’infezione. Onestà scientifica, ma disonestà delle istituzioni internazionali, disposte a montare qualsiasi cavallo, pur di affermare il diritto all’aborto. È il risultato di una cultura in cui, anche nelle politiche sanitarie, le esigenze della giustizia sociale vengono subordinate a quelle di diritti individuali sempre meno civili. 
 
 *Presidente del Movimento per la Vita italiano
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