Festa della donna, «per» cambiare davvero
mercoledì 8 marzo 2017

Sono passati 30 anni da quando, giovane giornalista, chiesi all’allora capo redattore di esimermi dal seguire le iniziative delle donne in occasione dell’8 marzo. Mi pareva ghettizzante che le uniche due colleghe donne della redazione romana dovessero occuparsi di donne. Ghettizzante per le lettrici e per chi organizzava le iniziative. Mi figuravo i nostri lettori maschi a passare oltre gli articoli autoreferenziali delle donne sulle donne. Il capo, a onor del vero, accolse la mia richiesta, e io sono rimasta spettatrice e lettrice. A distanza di tanto tempo mi chiedo se oggi questa ottica abbia ancora senso. Direi di no. Direi che se allora credevo che molti muri si stavano definitivamente abbattendo, oggi non lo credo più. Direi che se a fine anni Ottanta un processo di equiparazione pareva avviato e molte conquiste sono state fatte, oggi si procede per stop and go, un passo avanti e due indietro… Troppe conquiste non possono considerarsi acquisite. La richiesta costante di conferme per una condizione di uguaglianza effettiva, reale, pacifica, è ancora necessaria.

Oggi si parla di 'femminicidi', termine orribile, che evoca delitti ancor più orribili. Troppi maschi continuano a sentirsi superiori, in tutti gli ambienti e a tutti i livelli. La forza fisica resta l’unità di misura che mette la donna nel gradino inferiore. Ma se l’unità di misura resta la forza fisica, perché solo in questa può esserci una effettiva superiorità, allora davvero l’essere umano non ha fatto grandi passi avanti, nell’evoluzione socioculturale. E tutte le considerazioni sulle specificità del mondo femminile sono solo chiacchiere che lasciano il tempo che trovano, vale a dire il tempo di un giorno, quello di una ricorrenza drammatica, che non andrebbe mai dimenticata. Mai.

Oggi, ancora, si continua a utilizzare il corpo della donna come merce di scambio pubblicitaria, e comunque sempre in maniera avvilente e svilente. E il loro grembo diventa persino 'fabbrica' a pagamento di figli per altri. Responsabilità, spesso, delle stesse donne che un tempo si spogliavano di vestiti e maternità in nome di una presunta conquista di libertà. E spesso la mancanza di rispetto per le donne arriva dalle donne stesse.

Allora, a trent’anni di distanza, mi chiedo se oggi farei la stessa domanda al capo della redazione. La risposta è ancora no. No, perché ho maturato una maggiore serenità di giudizio. No, perché mi sento parte di quella categoria di donne che lotta per le donne. No, perché c’è ancora troppo da fare per obbligare il mondo intero a rispettare le madri della vita.

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