venerdì 4 giugno 2021
Scuotono il Paese le notizie diffuse online sulla feroce lotta per il potere che dilanierebbe il partito Akp del presidente, coinvolgendo uomini a lui vicini. La fonte è torbida, ma l'impatto enorme
Il presidente turco Recep Tayyp Erdogan

Il presidente turco Recep Tayyp Erdogan - Ansa

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Sono bastati otto video postati su Youtube per riportare la Turchia indietro di trent’anni, a un passato che il Paese pensava archiviato per sempre e che di certo non desiderava rivivere. Anni fatti di corruzione, instabilità economica e una classe politica legata ai peggiori ambienti mafiosi, spesso di orientamento ultra-nazionalista. Organizzazioni eversive, che influenzavano l’agenda politica e avevano fra i loro bersagli le minoranze religiose ed etniche che vivono sul territorio turco. L’avvento di Recep Tayyip Erdogan e del suo partito Akp, la crescita economica, la prospettiva dell’ingresso nell’Unione Europea, sembravano aver posto la parola fine a un vecchio modo di fare politica, che influiva direttamente sulla vita civile del Paese. Invece, con il tempo la promessa di maggiore democrazia da parte di Erdogan si è trasformata in una deriva autoritaria inesorabile. Ma non basta. Adesso, il popolo turco ha dovuto prendere coscienza del fatto che il legame fra politica e organizzazioni stay-behind, che operano nell’ombra, non solo è tornato alla ribalta delle cronache: probabilmente non è mai scomparso.

A confermalo è stato Sedat Peker, uno dei più potenti capi mafia del Paese, oggi latitante – probabilmente a Dubai – per sfuggire a due condanne per crimine organizzato. Da inizio maggio Peker ha iniziato a condividere video sul suo canale Youtube nei quali parla dei suoi rapporti con i maggiori protagonisti della politica turca degli ultimi anni, fra cui il ministro degli Interni, Suleyman Soylu, e con Berat Albayrak, ex ministro delle Finanze, meglio noto per essere nientemeno che il genero di Recep Tayyip Erdogan. Le accuse mosse da Peker sono molto gravi. Le persone da lui menzionate sono coinvolte, in modo diretto o indiretto, in crimini come omicidio, corruzione, riciclaggio di denaro, ricatti a vari livelli. Insomma, tutte quelle cose che la Turchia sperava di essersi lasciata alle spalle. Non solo. Nei suoi video Peker racconta anche delle lotte per il potere all’interno dell’Akp, nel quale Soylu, potentissimo e considerato l’unico in gradi di succedere a Erdogan, viene ritratto come una persona avida di potere, abilissimo nel mettere gli uni contro gli altri nel partito e ad agire anzitutto per il proprio tornaconto personale. Il ministro ha reagito rilasciando una lunga intervista a un’emittente filo-governativa e dando una versione che ormai il Paese conosce fin troppo bene: le parole di Peker fa- rebbero parte di una operazione internazionale contro la Turchia e la sua crescente influenza nella regione. Una macchina del fango montata ad arte, secondo Soylu, secondo la migliore tradizione della teoria del complotto che tanto piace ai turchi.

Certo, il personaggio in questione aiuta parecchio ad alimentarla. A metà fra il boss mafioso, l’imprenditore e lo 007, di Sedat Peker si sa solo che è immensamente ricco, ma come abbia fatto tutti questi soldi, in realtà, non lo sa nessuno. Non è noto in che campi operi, che tipo di business porti avanti, quali siano i suoi asset. Si sa solo che fa molta beneficenza ad associazioni caritatevoli islamiche, motivo per cui nel 2017 gli è stato anche conferito un premio, e che nel 2016 pronunciò parole di fuoco contro gli accademici che avevano firmato un appello per la pace interna dopo il golpe, bollandoli come terroristi. In Turchia è molto conosciuto, anche perché per anni è stata una presenza fissa a tutti gli eventi più importanti, anche quelli istituzionali, dove è stato ritratto con le maggiori cariche dello Stato, incluso il presidente Erdogan, l’unico che non ha mai attaccato direttamente nei suoi video.

I contenuti su Youtube sono vere e proprie esibizioni, studiate nei minimi dettagli. Durano quasi un’ora, tempo durante il quale Peker infarcisce il suo racconto di aneddoti personali, frutto di anni di frequentazione della politica turca. Sulla scrivania sono presenti oggetti che a ogni video cambiano collocazione, particolare che ha indotto a pensare che possano avere anche un valore simbolico. Il boss, che è scappato dalla Turchia nel 2019 e dopo una serie di peregrinazioni nei Balcani pare sia arrivato a Dubai, afferma più volte di aver deciso di raccontare tutto quello che sa perché si ritiene tradito dall’Akp. Il principale responsabile della sua rovina sarebbe di nuovo Soylu, colpevole di aver rovinato gli ottimi rapporti che c’erano fra lui e Berat Albayrak.

Nonostante si tratti di accuse difficilmente dimostrabili e il personaggio abbia connotati sotto certi aspetti al limite del folkloristico, i video hanno ottenuto un successo senza precedenti, visualizzati da milioni di persone. Nell’ultimo contributo, Peker ha rivelato di aver inviato armi ad al-Nusra (formazione terrorista siriana) per conto del governo di Ankara. L’opposizione turca in Parlamento ha chiesto l’apertura di un’inchiesta per capire cosa ci sia di vero nelle affermazioni del capomafia. Gli uomini più vicini a Erdogan cercano di buttare acqua sul fuoco, puntando sulla scarsa attendibilità di Peker. Rimane il fatto che il danno, a livello di immagine, è enorme. Soylu forse riuscirà a rimanere al suo posto, ma i video del boss mafioso suonano come un avvertimento al presidente della Repubblica. Nonostante Erdogan eserciti un potere pressoché assoluto, deve rendere conto a molti interlocutori, primo fra tutti il Partito nazionalista Mhp, con cui Erdogan è alleato e a cui Peker è vicino, fautore di una politica di intolleranza nei confronti delle minoranze etniche e religiose. Una delle ipotesi è che i nazionalisti con questi video stiano cercando di erodere il consenso del presidente a loro favore.

Ma c’è anche un inquietante risvolto per quanto riguarda la sicurezza nazionale. A questo network occulto corrispondono infatti anche organizzazioni con capacità paramilitari, che possono dare vita a violenze interne nel Paese e che, secondo alcuni analisti, tengono Erdogan in pugno, tanto da averne influenzato le scelte anche durante il conflitto in Nagorno-Karabakh del settembre 2020. Una forza oscura, che il presidente della Repubblica può controllare fino a un certo punto e che rischia di trascinare la Turchia in una spirale di terrore.

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