Il realismo efficace del disarmo
sabato 1 aprile 2017

Indirizzando un messaggio alla Conferenza delle Nazioni Unite «finalizzata a negoziare uno strumento legalmente vincolante per proibire le armi nucleari», papa Francesco ha varcato ancora la frontiera dell’utopia?
«Un mondo senza armi nucleari», pur essendo un «obiettivo di lungo periodo, estremamente complesso», «non è al di fuori della nostra portata», ha dichiarato. Lo aveva fatto del resto già in occasione della visita all’Onu del settembre 2015, quando esortava a «impegnarsi per un mondo senza armi nucleari, applicando pienamente il Trattato di Non Proliferazione (Tnp) e lodava «il recente accordo sulla questione nucleare» (l’intesa firmata con l’Iran) come «una prova delle possibilità della buona volontà politica e del diritto».
La stessa Conferenza cui si è rivolto papa Bergoglio è stata tacciata di scarsa concretezza. Visionari sono sembrati i proponenti, che immaginano di introdurre una moratoria sulle testate nucleari sul modello di quanto già fatto nel 1972 con le armi batteriologiche e nel 1993 con quelle chimiche. Chi non sostiene la moratoria ricorda come le armi nucleari abbiano garantito al mondo un «equilibrio del terrore»; ovvero che oggi «non sussistono le condizioni di sicurezza per adottare un [ta] trattato». E anche chi sogna un mondo più pacifico non può non concordare sul fatto che i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza si opporranno senz’altro a un divieto assoluto, che vada oltre quanto garantito loro dal Tnp.
Un Papa utopico allora? No, un Papa realista. E proponenti della moratoria realisti come lui.


Innanzi tutto il Tnp è stato aggirato e sorpassato. Alle cinque potenze nucleari di un tempo se ne sono aggiunte altre in pochi decenni. Il mondo oggi non è più bipolare. La parità strategica tra Usa e Urss è preistoria. «In questo mondo multipolare del XXI secolo», come dice Francesco, i “bracci di ferro” sono aumentati in maniera geometrica: «Se si prendono in considerazione le principali minacce alla pace e alla sicurezza con le loro molteplici dimensioni, come, ad esempio, il terrorismo, i conflitti asimmetrici, la sicurezza informatica, le problematiche ambientali, la povertà, non pochi dubbi emergono circa l’inadeguatezza della deterrenza nucleare a rispondere efficacemente a tali sfide».


Sul nostro pianeta è purtroppo facile iniziare una guerra. Difficile è portarla a conclusione. Come in Medio Oriente, così nella ex Jugoslavia o in Africa, i conflitti non si vincono e non si placano. Jacques Attali, nel suo “Economie de l’Apocalypse”, denunciava il traffico e la proliferazione del nucleare nel mondo post–1989: «L’uso di tali armi è divenuto più probabile che mai: dei fanatici non temono di morire per la loro causa; dei narcotrafficanti non hanno frontiere da difendere. Contro tutti costoro i princìpi classici della dissuasione nucleare, basati sul timore della rappresaglia, non fanno presa».
La guerra è possibile. Tutti la possono fare anche le mafie o i terroristi. È uno scenario molto diverso da quello del classico confronto tra potenze.


René Girard avvertiva, rileggendo l’opera di von Clausewitz sulla guerra, «quando si scatena una crisi il rischio è che essa si avviti all’estremo, colpo contro colpo, in un imbarbarirsi contrapposto dal quale sarà difficile tirarsi fuori».
Si tratta di reagire a tutto questo e di non assistere passivamente all’accumularsi di spade sul nostro capo. Se il mondo è stato capace di dar vita a una campagna di moratoria sulla pena di morte che ha ottenuto buoni risultati e diminuito il lavoro del boia, sarà possibile anche nel campo del nucleare imbrigliare le pulsioni più oscure e muovere passi coraggiosi verso un tempo più umano e più razionale.


La pace è possibile, soprattutto se affidata alla via del dialogo, dell’incontro tra le parti, della diplomazia. La pace e il disarmo anche nucleare sono possibili, ma non come frutto di un equilibrio basato sulla paura o sulla forza, bensì come risultato di un nuovo equilibrio, fondato sul dialogo. L’equilibrio del terrore è un filo che rischia di spezzarsi ogni giorno. Quella del dialogo riannoda ogni giorno la speranza dell’umanità.

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