Quant'è difficile accogliere in un'Italia che ha complicato il «restare umani»
sabato 11 giugno 2022

La storia bella, faticosa e ancora impacciata da burocratismi ed errori (altrui) di un abbraccio in famiglia ai familiari della propria amatissima «badante». E anche un’occasione per considerare ancora una volta i disastri fatti negli anni della «guerra contro la solidarietà». Archiviamoli per sempre

Caro direttore,
dal 28 febbraio sono arrivate in casa nostra le tre figlie di Liliia, più che una semplice badante, un membro della nostra famiglia che da sei anni si occupa di mia suocera malata di Alzheimer. Con loro i due nipotini di 11 e 5 mesi e un genero che miracolosamente è riuscito a passare la frontiera soltanto un’ora prima della legge marziale. Di là sono rimasti il padre delle tre ragazze, il marito di una di loro e padre del piccolino di 2 mesi, la loro vita di prima, la normalità, la ragione, tutto. Hanno infilato quel poco che entrava nei loro zainetti e via verso un Paese che conoscevano appena, verso quella "loro" famiglia italiana dei Natali passati insieme tra cappelletti in brodo e agnollotti della nostra tradizione marchigiana e le estati sul Conero a respirare iodio. Ma questa volta non si tratta di vacanza, si tratta di una fuga per la vita. Li vado a prendere all’aeroporto di Bari e in 5 ore di macchina siamo finalmente a casa ad Ancona. L’abbraccio, quella sera a mezzanotte, tra la mamma e le figlie, uno dei più bei momenti della nostra vita.
In breve, grazie alla nostra rete di amici, provvediamo a quanto serve grazie al meraviglioso mondo del volontariato tipico di noi italiani. Per il resto ci imbattiamo in un bosco di muri di gomma con cui i vari organi – Questura, Comune, Tribunale dei minori – ingoiano ore e ore di attese e relativi nostri permessi. L’unico mondo reattivo è la scuola: in una settimana la ragazzina di 14 anni, figlia minore di Liliia, viene regolarmente inserita nella terza media della nostra scuola di quartiere e le viene attivato un supporto linguistico e culturale nonché sostegno psicologico sempre da parte della scuola stessa. Il resto, ci creda, è da dimenticare...
La Questura che per inefficienza (e purtroppo maleducazione) dei propri impiegati ci rende il percorso per l’ottenimento del permesso di soggiorno difficilissimo, con integrazioni richieste in tempi diversi tanto che, dal 14 marzo, data della richiesta di permesso per protezione internazionale a oggi, ancora non hanno ottenuto nulla. Per di più per un’inesattezza di un impiegato che affida la minore a una delle due sorelle, si apre un fascicolo presso il Tribunale dei Minori che deve accertare l’idoneità della mamma. Anche qui sopralluoghi e incontri... e permessi dal lavoro che volano via...
Poi è la volta dell’Asur: trafila su trafila per la questione Covid, poi alcune visite di cui necessitavano le ragazze soprattutto la ragazza neomamma. Otteniamo la tessera sanitaria quasi subito, ma quella cartacea che non dà l’opportunità di avere lo SPID necessario ad esempio per richiedere l’iscrizione al nido comunale.
Noi resistiamo, da soli e con l’aiuto dei nostri amici e della Caritas che un paio di volte al mese ci concede una buona spesa alimentare. Adesso la situazione è migliorata: il ragazzo ha trovato lavoro presso una cooperativa sociale come giardiniere, la moglie ha ripreso le sue lezioni di inglese on line e via via il resto. Ma che fatica...
Gianni e Alessandra Buccolini

La vostra lettera, cari amici, è arrivata in redazione lunedì scorso, 6 giugno, anche se rispondo solo oggi. Lo faccio sperando che, nei pur pochi giorni passati, le cose si siano instradate al meglio. O, se volete che il gran caldo di questa tarda primavera abbia sciolto il ghiaccio che per settimane ha stretto i vostri pensieri ed entusiasmi d’accoglienza. So di funzionari pubblici che si fanno in quattro (nelle Questure italiane e altrove) per risolvere i problemi del dare tetto, regolarità piena e stabilità d’orizzonte ai profughi d’Ucraina. Un impegno fraterno e generosissimo di tanti, ma impacciato – nei pur ovvi passaggi formali – da cautele, errori e burocratismi che hanno ragioni ma non sono sempre comprensibili e, a volte, appaiono proprio inaccettabili. Certa Italia "ufficiale" sembra non saper dire "grazie" ai cittadini solidali e "benvenuto" ai rifugiati, persino a questi rifugiati, che sono in fuga dall’Ucraina invasa e che, da europei, abbiamo riconosciuto speciali... E allora, senza avere, io, alcuno speciale titolo, mi assumo il compito di ridirlo quel "grazie" e quel "benvenuto". E ripeto anche ciò che stiamo cercando di sottolineare in questi duri mesi: la ordinaria e straordinaria umanità di tantissimi di noi – persone, famiglie, associazioni, organismi di prossimità, organizzazioni produttive, professionali, sindacali – e la capacità molto italiana di far quasi (quasi!) sparire nodi così aggrovigliati da sembrare scorsoi. Ma bisogna pur dire che in tutta questa fatica per poter semplicemente fare il bene possibile e necessario a bambini, donne e uomini spinti lontano dalle proprie case dalla guerra c’è purtroppo ancora molto del sistematico impegno contro-solidale di chi, per anni, ha cercato di rendere impossibile la vita e la civile accoglienza di richiedenti asilo e persone meritevoli di protezione internazionale. È stato fatto demolendo, a suon di decreti, di disinformazione e di slogan persino più duramente efficaci dei decreti, quel po’ di buono che era stato organizzato da Stato e società. L’abbiamo chiamata «guerra alla solidarietà» e ha messo più a nudo le nostre magagne di sistema. Rendiamocene conto e diamo una mano a cambiare tutto questo, una volta per tutte. Lo dobbiamo a noi stessi e a chi sta alla porta o è già tra noi, che venga dall’Ucraina o, per motivi diversi e uguali, da qualunque altra parte di una Terra che non sappiamo tenere in ordine e in pace. Ma che ci riguarda. Umanamente e cristianamente ci riguarda totalmente.


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